DEMONIO E DEMONIACI

04.06.2015 07:57

Vi propongo cari amici di Chiesa controcorrente parte del «Commento al libro di Giobbe» scritto da san Gregorio Magno, papa, brano tratto dall’Ufficio delle letture di ieri mercoledì 3 giugno nel terzo libro delle liturgia delle ore

 

 «Ascolta, Giobbe, i miei discorsi, ad ogni mia parola porgi l’orecchio» (Gb 33, 1). L’insegnamento delle persone arroganti ha questo di proprio, che esse non sanno esporre con umiltà quello che insegnano, e anche le cose giuste che conoscono, non riescono a comunicarle rettamente.

Quando insegnano danno l’impressione di ritenersi molto in alto e di guardare di là assai in basso verso gli ascoltatori, ai quali sembra vogliano far giungere non tanto dei consigli, quanto dei comandi imperiosi. Ben a ragione, dunque, il Signore dice a costoro per bocca del profeta: «Li avete guidati con crudeltà e violenza» (Ez 34, 4). Comandano con durezza e violenza coloro che si danno premura non di correggere i loro sudditi, ragionando serenamente, ma di piegarli con imposizioni e ordini perentori. Invece la vera scienza fugge di proposito con tanta più sollecitudine il vizio dell’orgoglio, quanto più energicamente perseguita con le frecciate delle sue parole lo stesso maestro della superbia. La vera scienza si guarda dal rendere omaggio con l’alterigia della vita a colui che vuole scacciare con i sacri discorsi dal cuore degli ascoltatori. Al contrario, con le parole e con la vita si sforza d’inculcare l’umiltà, che è la maestra e la madre di tutte le virtù, e la predica ai discepoli della verità più con l’esempio che con le parole.

Perciò Paolo, rivolgendosi ai Tessalonicesi, quasi dimenticando la grandezza della sua dignità di apostolo, dice: «Ci siamo fatti bambini in mezzo a voi» (1 Ts 2, 7 volgata). Così l’apostolo Pietro raccomanda: «Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» e ammonisce che nell’insegnare vanno osservate certe regole, e soggiunge: «Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, e con una retta coscienza» (1 Pt 3, 15-16). Quando poi Paolo dice al suo discepolo: «Questo devi insegnare, raccomandare e rimproverare con tutta autorità» (Tt 2, 15), non chiede un atteggiamento autoritario, ma piuttosto l’autorità della vita vissuta.

Si insegna infatti con autorità, quando prima si fa e poi si dice. Si sottrae credibilità all’insegnamento, quando la coscienza impaccia la lingua. Perciò è assai raccomandabile la santità della vita che accredita veramente chi parla molto più dell’elevatezza del discorso. Anche del Signore è scritto: «Egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi» (Mt 7, 29). Egli solo parlò con vera autorità in modo tanto singolare ed eminente, perché non commise mai, per debolezza nessuna azione malvagia. Ebbe dalla potenza della divinità ciò che diede a noi attraverso l’innocenza della sua umanità.

 

Sono stufo di avere a che fare con gli arroganti, gente che ritenendosi in alto comandano e guidano con crudeltà e violenza, gente incapace, come ammonisce S Paolo di “insegnare, raccomandare, e rimproverare con autorità”, perché non vivono ciò che dicono in quanto sono incapaci di farsi bambini in mezzo a noi. Questa gente ordinata e non, che governa questa diocesi tenta di spegnere la speranza che è nel santo popolo di Dio con i suoi formalismi. Nascosto dietro il formalismo si annida il maligno “sia sì sì e no no il vostro parlare, il di più viene dal maligno”, il formalismo, la forma, la legge è sostituita a Dio, diviene scusa dietro cui trincerarsi e giustificarsi, quella legge spazzata via dalla venuta del Cristo. Ricordo anni fa l’allarme di Paolo VI che il demonio si annidava nella Chiesa, ecco perché oggi questo papa vuole snellire e riformare non la curia romana, ma tutte quelle curie “romane” che pullulano in questo mondo, e di cui la nostra per la gente che la compone non è certamente esclusa, anzi è in “pole position”. Si può dire che alcune azioni e reazioni di questa gente sono demoniache, si percepisce la malefica presenza; dove si esercita il potere nel nome della forma e in funzione della forma lì è presente il “principe di questo mondo”.