L'APPELLO: RIPASSARE LA LEZIONE

16.05.2015 10:34

Mi associo all’appello del vescovo per le necessità della popolazione nepalese, apparso ieri sul giornale diocesano. Trovo intelligente da parte della presidenza della CEI indire per domenica 17 c.m. una giornata di aiuto che consiste nel devolvere ciò che viene raccolto durante l’offertorio nelle sante messe alla popolazione nepalese. Il resto delle sviolinate del vescovo nell’appello sono parole in più, alle quali bisogna rispondere… Incominci lui a dare il buon esempio a questo territorio, in primis nel limitare i pellegrinaggi e a devolvere il ricavato in aiuti concreti, perché la comunità primitiva descritta in Atti ( da lui citati nell’appello) certamente non era solita dilapidare capitali per mandare i seminaristi in Brasile a fare turismo religioso, né a mangiare in costosi ristoranti tra gite annuali e vacanze. In Atti si legge di condivisione dei beni da lei eccellenza reverendissima non optata certamente in casa sua, infatti i profughi li “piazza” altrove, e ben lontano dal suo palazzo (Oropa- Pettinengo). E nelle lettere paoline sempre citate dal presule nell’appello si legge sì dei viaggi di Paolo segnati da naufragi, percosse, fatiche fisiche, lavoro manuale quando lei eccellenza reverendissima per recarsi a Lourdes sceglie l’aeroplano, non certo il treno e l’autobus con la gente comune. In ultimo lasci stare la figura di don Ferraris, non la tiri in ballo, l’ha già umiliata intitolandogli un’ associazione che dovrebbe avere lo scopo della formazione dei preti, ma che poi si riduce a raccogliere soldi usati per i viaggi di piacere camuffati da pellegrinaggi, tra alberghi 4 stelle e aperitivi notturni in Lisbona by night che è ben lontana da Fatima. Circa poi l’uso della parola carità citata da don Ferraris credo sia quella a cui papa Benedetto ha dedicato un ‘enciclica: l’amore. Giovanni scrive “ non c’è un amore più grande che dare la vita per gli amici”, che non è certo il mettersi le mani in tasca per cercare pochi spiccioli da riporre in un cestino. La carità è il dare se stesso, e ci sono mille modi per darsi, non ultimo quello della preghiera perché se no che senso avrebbe che la Chiesa (di cui lei eccellenza reverendissima è parte e dovrebbe ben conoscere) abbia conferito a santa Teresina il patrocinio delle missioni? Lei nel suo appello non ha minimamente accennato alla preghiera: “ chiedi e ti sarà dato… bussa e ti sarà aperto”, sono frasi tratte non da un romanzo di Dan Brown… Il suo appello è paragonabile all’appello di un buon operatore sociale che richiede aiuto concreto (come se la preghiera non lo fosse, e a sostenerlo è il vescovo) oltre l’emozione e la condivisione delle speranze che in buone parole è un gioco di parole per non dire nulla. Tra l’altro la citazione della frase di don Ferraris non è neppure corretta dunque la cito io per voi cari amici di Chiesa controcorrente, ma anche per lei eccellenza reverendissima: “ se possiederete la carità manifesterete il Signore”. Con ciò che scrive Giovanni la carità è lo spirito di sacrificio, il donare la vita per gli altri che manifesta il Signore, non certo quello che vuole farci intendere il vescovo, d’altra parte don Ferraris fu allievo di don Fontanella che sosteneva e sottolineava: “ l’onore a Dio, il piacere al mio prossimo, il sacrificio a me”, che è la fonte da cui don Ferraris attinse per formulare la sua celebre frase che era  scolpita sulla sua tomba, (ed è riporatata sulla fotografia posta nell'atrio dell'OSI (OPERA SACERDOTI INVALIDI) da lui fortmenete voluta), ma che questo vescovo non conosce né sa citare.