LETTERA AL CONFRATELLO

16.04.2015 06:16

Caro don Mario,

ti ringrazio per avermi fatto partecipe via emal delle tue iniziative. Ti confesso che avrei voluto partecipare, come ti ho confidato ( e te lo voglio ribadire oggi che sto riordinando materiale per poter mettere nero su bianco precisi e significativi momenti della malattia di mia moglie Anna), riprendo, che avrei voluto partecipare all’incontro che avevi organizzato tempo fa con Beppino Englaro, ma in quel periodo ero ammalato. Ora senza entrare in merito all’esperienza che quel padre (come me) ha vissuto, perché non ne ho (come nemmeno i ben pensanti verniciati di comodo moralismo) il diritto, ma solo il dovere di osservare, confrontarmi con la Parola e nell’intimo del Santuario della coscienza confrontarmi con Chi lo abita e in essa, in quel luogo conservare il più profondo silenzio e riservo che è preghiera. A lui, a Beppino Englaro vorrei far giungere attraverso questo mio racconto che era ciò che avevo riservato a lui e al pubblico di quella sera, quando sono stato fermato da un malessere, e siccome ciò gli appartiene, come appartiene a te presente quella sera, ti voglio raccontare cosa avvenne: “ all’inizio dell’ultima settimana di vita di Anna (25 aprile -1 maggio 1999) si iniziò tramite le infermiere delle cure pagliative, a somministrarle giornalmente morfina. Gli avevano applicato una valvola nell’avambraccio per facilitare la somministrazione indo vena dell’antidolorifico. Nella notte profonda incominciò a lamentarsi parecchio e ad assisterla eravamo io e la sua mamma. Il lamento si fece sempre più insistente sino a divenire continuo. Il dolore doveva essere lancinante e ci chiedeva di aiutarla. In quei momenti ci si accorge e si prende atto della propria impotenza e si è avviliti da un senso di frustrazione: che fare? Senza indugiare sotto gli occhi sbarrati della sua mamma preparai una fiala di morfina e piano piano seguendo millimetricamente ciò che avevo visto fare da giorni alle infermiere delle cure pagliative, le ignettai attraverso quella valvola l’anti dolorifico: poi con cura, immisi un liquido per evitare il coagulo, quindi le rimboccai le coperte poi piangendo scagliai a terra la siringa imprecando: guarda cosa mi tocca fare. Sua mamma era lì immobile, una statua di pietra, non aveva proferito parola né si era mossa dal punto in cui si era fermata tra gli stipiti della porta che dal vano scala immette ancora oggi nella nostra camera nuziale. Pochi attimi poi dal talamo, da sotto quelle coperte ben rimboccate una flebile voce ringraziava: grazie, grazie, poi ancora grazie…grazie, ripetuto sino a precipitare in quel mondo di sogni, in quell’intimità a cui a noi era negato l’accesso. La mattina dopo, di prima mattina ci raggiunse, come amorevolmente ha fatto per ogni giorno di tutta la sua ultima settimana, di Anna, il medico al quale raccontai per filo e per segno l’accaduto. Mi disse se avevo pensato che quel mio intervento avrebbe potuto causare delle conseguenze estreme, le quali avrebbero potuto generare in me un perenne senso di colpa. Gli dissi che non mi sarei mai sentito in colpa perché quel ringraziamento e il sapere, l’avere constatato di avergli alleviato quel dolore, quello per me era stato un gesto di amore. ( vi ricordo cari amici di chiesa controcorrente che qualche giorno dopo, il primo maggio 1999 Anna morì stroncata da un tumore al fegato). Da quel giorno a scanso di equivoci, la scienza fredda e distaccata gli applicò un meccanismo che somministrava temporalmente l’anti dolorifico”. Questo e null’altro avrei voluto e vorrei che oggi arrivasse al signor Beppino Englaro.