TRINITA'? PERSONA, DUNQUE POPOLO... MAI PEDINA!

31.05.2015 08:54

Fratelli cristiani è per noi vitale l’affermazione che leggiamo dunque apprendiamo in Deuteronomio, dal libro del Deuteronomio, la prima lettura di questa domenica, e cioè che: “Mosè parlò al popolo”. Questo parlare la popolo indica che qualcuno, (nel nostro caso “Mosè) è stato delegato a riferire ad altri delle parole. Mosè è la figura (cioè rappresenta ognuno di noi) perché ha ricevuto (come noi con il battesimo) la dignità di profeta, cioè da ispirato da Dio, di colui che è capace, che è stato reso capace di riconoscere i segni dei tempi, colui che si mette a servizio senza ricevere nulla in contraccambio ( Mosè infatti non entrerà, sarà precluso per lui l’ingresso nella terra promessa, seguirà il destino di quella generazione che per la loro durezza di cuore era stata esclusa dal godere della terra promessa e Mosè non vi entrò neppure da morto). Mosè è eletto da Dio per parlare al popolo, cioè deve prendersi cura del popolo, della sua crescita in rapporto alla fede (dunque a Dio) che è ciò che ognuno di noi fratelli cristiani, deve sentire e fare, ma mai delegare. Delegare significa riconoscere che ciò che possiamo fare noi, che dobbiamo fare noi, che ci è chiesto di fare, lo facciamo fare agli altri, divenendo noi dipendenti sino alla sottomissione a coloro che abbiamo delegato ed elevando questi a costrittori. A noi è stata data la dignità (secondo le nostre possibilità) di parlare al popolo perché formati alla e della Parola (p maiuscola) attraverso la vita cristiana, cioè la sequela al Cristo, che è vita spirituale alimentata, nutrita, vivificata dalla Parola che è Presenza. Fondamentale è parlare, dialogare, ascoltare e parlare perché si è ascoltato, e si è ascoltato la Parola, cioè Dio presente che mi parla, in una terra santa e da un roveto ardente di una fiamma che non consuma, ma conserva e stupisce e lo stupore porta alla sottomissione volontaria non indotta, sottomissione che è consegna di sé stessi per e a quella Parola che è persona viva, vera, reale (corpo, anima, spirito scrive S Paolo). Il popolo fratelli cristiani siamo noi, siamo responsabilità rivolta a noi stessi e di conseguenza agli altri. Essere popolo significa essere parte ed essere parte indica il rapporto con gli altri, dunque la capacità di condivisione, ma significa anche essere configurati, riconosciuti… Quella parte e non l’altra. Nel popolo, negli altri, con gli altri ma se stessi, me stesso, persona, figura capace di conoscere, conoscersi, riconoscersi. Ogni componente (parte) del popolo è un singolo, il singolo che fa emergere la sua dignità, la sua personalità, il suo modo di essere, cioè la sua essenza, uomo, persona nella quale si combinano secondo un preciso ordine divini (armonia) anima, corpo e spirito. Singolarmente apparteniamo ad un popolo e singolarmente ne siamo parte, lo formiamo e lo definiamo, siamo comunione e comunità essendo autonomia. L’uomo dunque è se stesso e nello stesso momento è popolo, cioè è altro, è l’altro; è un popolo che non opera entro confini e che parla una lingua unica, comune, ha un solo governante e persegue un unico scopo, Dio non ci ha inglobati e costretti entro orizzonti e confini, ma ci ha fatti e voluti cattolici, cioè parte dell’universo che non è l’insieme di luoghi o di mondi, ma è luogo, il luogo, in esso parliamo una lingua unica, la fede, dalla quale, per la quale, nella quale comprendiamo e ci comprendiamo. Siamo governati da Dio che non delega il suo governo ad altri ma lo esercita attraverso gli altri, riconoscibile (il suo governo) dalla santità delle sue finalità e dei suoi atti: noi fratelli cristiani abbiamo un solo scopo, vivere, cogliere della nostra esistenza l’equilibrio, il giusto equilibrio e l’armonia che ci circonda. Ma cosa dice Mosè, cosa comunica Mosè attraverso il parlare e la Parola? Mosè dice, afferma, interroga, ammonisce, sprona, esclama. Dire quel “parlò” è guida è indirizzo che scaturisce dal parlare, dalla Parola cioè da ciò che Dio suggerisce, fa passare, ispira. Quella Parola è per lui stesso, per Mosè stesso, prima di tutti gli altri, poi solo poi per gli altri, ma prima per se stesso. Mosè discute quel parlare e quella Parola, discute con la Parola per dire, per riportare, per indirizzare. Ebbene fratelli cristiani tutto ciò è in noi, in ognuno di noi in forza del nostro battesimo, in cui Dio non ci eleva alla dignità di Mosè, ma ci eleva alla dignità di figli, cioè guardando il Figlio suo Dio crea noi, ha creato noi affinchè partecipassimo di quella gioia di cui il Figlio partecipa, la vita divina, di cui il Figlio (così come noi) partecipa, rendendosi conto e facendo esperienza di essere amato dal Padre di un amore così grande da divenire persona: è l’immagine questa e la sostanza della Trinità. Ecco perché Mosè parla al popolo, parlare al popolo non è l’atteggiamento del governante il quale ordina e comanda, ma non lo fa parte della sua eredità, come il Padre con il Figlio, e neppure lo ama come il Padre con il Figlio. Il governante verso il popolo cerca di ottenere il massimo con il minimo sforzo (che è lo spremerlo) non dunque parlando o dicendo o dialogando, ma appunto ordinando e costringendo. Fratelli cristiani siamo popolo senza confini guidati da un Padre perché suoi figli il quale ci rassicura con la Parola che è mezzo di trasmissione della conoscenza; come il buon Padre con il suo Figliolo dice allargando le braccia (che è espressione di amore disinteressato e di totale abbandono e accoglienza): vieni!