CON ORGOGLIO LO SCRIVO: SONO UN RIBELLE!

23.08.2014 09:16

Devo confessarvi amici di Chiesa Controcorrente che sento forte un senso di colpa nei confronti di un sacerdote ultranovantenne, don Pierino Romano, che ho sostituito per un breve periodo nella parrocchia di Campiglia circa due anni fa. Più che a voi, cari amici, è al Signore che mi rivolgo, pregandolo di perdonare l’essermi prestato per la sua rimozione, il suo forzato trasferimento da Campiglia all’opera sacerdoti invalidi in Biella.

Ricordo, nel settembre-ottobre 2012, due incontri con l’anziano sacerdote, nel suo studio che fungeva anche da camera da letto, al piano terreno della casa parrocchiale di Campiglia Cervo, di fronte alla grande chiesa parrocchiale. Mi ha sempre ricevuto con l’abito con il colletto rigido bianco, ed il l’ho sempre incontrato vestito del mio abito, entrambi eleganti nella dignità di due preti e a quei due incontri sono stato accompagnato dal vicario dei preti di questa diocesi, membro del consiglio episcopale in giacca, pantaloni e camicia con colletto sgualciti lisi e rattoppati.

Di quell’anziano sacerdote ricordo la cordialità, la gentilezza, sapeva di pulito, le lunghe dita delle mani affusolate, scarne e fredde ricoperte da quella pelle sottile e bianca, si aggrappavano al mio braccio in ricerca di protezione, di sostegno. Ero, dovevo essere in quel momento drammatico della sua vita sostegno, quel sostegno che non trovava nel vicario dei preti, inviato per recidere, tagliare, chiudere, acritico, ciecamente obbediente. Parlava con una voce esile, flebile, quasi impercettibile.

Il vescovo qualche anno prima, in un incontro con i chierici del seminario, io presente e presenti pure i superiori del seminario, tra cui il vicario dei preti, aveva raccontato del disagio che provava nell’incontrare i vecchi preti di paese, per via delle case sporche, la loro misera vita, li descriveva con i vestiti sporchi, sgualciti, (non accorgendosi che stava descrivendo il suo cittadino vicario dei preti), raccontava che quando celebrava con loro si portava il suo camice personale, che faceva poi lavare perché le casule e pianete trasferivano sullo stesso la sporcizia. Declinava gl’inviti a pranzare o a cenare, perché, raccontava che la tavola di questi vecchi preti era misera, senza tovaglia con bicchieri e piatti spaiati. Di quel prete lamentava che durante una sua visita non riuscendo a raggiungere il bagno, aveva urinato nel lavandino della cucina attigua alla sua stanza da letto-studio. Chiaramente, l’anziano sacerdote, pur avendone il diritto, non aveva a suo servizio due suore, ma neanche la sensibilità di un vescovo che delle due avrebbe potuto inviargliene almeno una. Ma soprattutto, aveva subito a sua insaputa il pettegolezzo, la mancanza di riservatezza di chi avrebbe dovuto tutelarlo ed elogiarlo dopo 51 anni di servizio in quella comunità: il vescovo. Cantava Guccini: i vecchi subiscono le urgenze degli anni.

Tornando al mio incontro con don Pierino, ritengo che la santità se la sia guadagnata obbedendo alla cieca volontà del vescovo che è stata quella di manovrarlo come una pedina nello scacchiere del consiglio pastorale. L’episodio del lavandino della cucina mi è stato successivamente confermato dal vicarione, il vicario generale, il numero due della diocesi, in un nostro incontro. Questo per dire la pochezza di chi si sofferma su questi particolari e ricordo che se non si muore giovani si diventa vecchi.

Degli incontri con quell’anziano sacerdote a cui, tutte le volte che l’ho incontrato ho baciato le mani, ha pochi anni meno della mia mamma, ricordo che voleva morire lì, in quella casa, tra quella gente, dopo 51 anni di onorato servizio. Ma la nostra diocesi è la diocesi dell’efficienza, della gioventù, dell’attivismo , viaggi, pranzi, convivialità, dinamicità, ferie, parole, parole soltanto parole, (cantava Mina). L’anziano prete s’informava se andassi ad abitare lì, e io lo rassicuravo che avrei continuato ad abitare a casa mia, a Pavignano con i miei figli. Lui allora rivolgendo lo sguardo al vicario dei preti, con occhi imploranti, stanchi, gli chiedeva con quel filo di voce di potere rimanere lì, era umiliato, l’atteggiamento di chi non ha più le forze di reagire, che è stanco, che raccoglie con rassegnazione, tutte le sue ultime e povere forze per una reazione, ricordo il passo evangelico: “un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi”. Il vicario dei preti, colui che avrebbe dovuto tutelarlo, il suo riferimento sindacale, ma anche membro del consiglio episcopale, gli assicurava che nel pensionato avrebbe trovato una buona sistemazione e poi tagliando corto lo richiamava all’obbedienza, alla volontà del vescovo, che era quella di perentoriamente lasciare la casa parrocchiale e trasferirsi al ricovero. Il vicario dei preti gli ha tappato la bocca. Il vicario dei preti, dunque vive la contraddizione del conflitto d’interessi, da una parte è nominato dal padrone, rappresentante a tutela dei lavoratori, (sindacalista), e dall’altra parte è nominato dal maggior azionista, il padrone, membro del consiglio d’amministrazione della SPA. Ecco perché autorevoli confratelli ritengo che il governo di questa diocesi sia di stampo clerico-fascista. In Italia poi, il conflitto d’interessi viene associato al berlusconismo, così si può affermare, con buona pace dell’abatino, che il comportamento del consiglio episcopale di cui lui è parte e forza trainante, usa gli stessi metodi del Cavaliere da lui tanto criticato ma tanto imitato da confondersi.

Dopo quei due incontri che mi hanno lasciato solo dell’amaro in bocca, andai a fare visita all’anziano sacerdote al pensionato dei preti, presso il seminario cittadino. Non portava più l’abito, ma i pantaloni ed un maglione, ed era seduto non al suo posto, dietro la scrivania del suo ufficio, ma su di una sedia a rotelle e lasciato stazionare davanti ad una televisione perennemente accesa, come in ogni ricovero per anziani. Era triste, molto triste, mi chiedeva avidamente notizie del paese, della gente e dopo pochi mesi è morto. Dopo quell’unica visita non ho più avuto il coraggio di andarlo a trovare, sentivo e sento ancora oggi il rimorso di non essermi ribellato a quella farsa, a quello spostamento demenziale, partorito da menti prive di un minimo di sensibilità e rispetto verso una persona anziana. Questa gente dovrebbe lavorare presso una struttura per anziani, per rendersi conto di cosa significa, dopo una vita attiva essere ritirato, messo da parte, posteggiato. Quella rimozione forzata ha tolto a quel prete ogni speranza, ogni contatto con la vita. Informo voi, cari amici di Chiesa Controcorrente perché gli altri lo sapevano benissimo, don Pierino non era ammalato , era solo molto vecchio. Avrei dovuto puntare i piedi, difendere quel prete che in quel momento rappresentava gli ultimi, lo straniero, altro che i rifugiati, loro trovano sempre dei cristiani che se ne occupano, i vecchi no, i vecchi, i nostri vecchi no, filano in casa di riposo, la normale consuetudine, mentre per i rifugiati, per lo straniero ci prodighiamo, perché siamo stati educati ad una pessima e strumentale interpretazione della Sacra Scrittura che indica sì lo straniero ma lo straniero è colui che non è conosciuto, non deve avere per forza la pelle nera o olivastra, lo straniero, don Pierino aveva la pelle bianchissima ma era lo sconosciuto, straniero nella sua stessa patria, straniero nella sua stessa diocesi, straniero nella e per la fraternità sacerdotale. Non ho voluto partecipare al suo funerale, provavo disgusto a vedere sfilare e ascoltare coloro che lo hanno costretto a perdere la sua dignità, perché la parrocchia era la sua dignità, persa quella, ha perso la ragione stessa della vita. Il vescovo in un successivo incontro con il sottoscritto vantava di averlo indotto all’obbedienza, che per lui evidentemente è concepita come sottomissione. Ne risponderemo entrambe al Signore, il prete deve immolarsi per gli ultimi, se necessario, i dimenticati, gli stranieri in patria, per tanto va rivista totalmente la pastorale della carità, trasformata oggi nella pastorale dell’elemosina, dove non c’è coinvolgimento emotivo. Va sviluppata e pensata la pastorale contro tanto potere ottuso, incapace di comprendere, che serpeggia in diocesi, tra il clero e fuori. Il governo di questa diocesi ha instaurato una gestione ben lontana dalla fraternità, dalla paternità, dalla comunità prediligendo instaurare un potere, che non da me, ma da fonti più autorevoli del clero, come per altro ho già scritto, è giudicato di stampo clerico-fascista cioè fatto per piegare e umiliare.

Allora lo scrivo con orgoglio: sono un ribelle!

donandreagiordano