CRISTIANA AUTONOMIA PER UN' AUTONOMIA CRISTIANA

13.09.2014 08:17

Cari amici di Chiesa Controcorrente, ho saputo che del questionario che era stato inviato ai sacerdoti in vista dell’assemblea straordinaria della CEI sulla formazione del clero, di cui vi scrissi nel mese di luglio, è stato diligentemente completato e consegnato al responsabile diocesano, nei tempi previsti, solo da un sacerdote della nostra diocesi. Vi ricordo quanto accaduto, il questionario inviato e datato 10 giugno dalla CEI alle varie diocesi, a noi sacerdoti (per la verità a me no perché venuto male, oltre a figlio di… buona donna, e ciambella senza buco) è giunto solo il 15 luglio, con richiesta di rispondere all’uomo della sintesi  appunto l’abatino entro il ventisette del mese stesso. Ora visto i tempi stretti e per non correre il rischio che le risposte venissero “filtrate” (chi ha orecchi per intendere intenda), ho risposto e inviato (RR) il tutto a Roma, direttamente alla Cei. Ora perché promesso a suo tempo e per trasparenza di seguito potrete leggere risposte e domande… Buona lettura

p.s. Il lavoro elaborato a detta del gota benpensante di palazzo sarà sicuramente superficiale non approfondito di scarto risibile: ma è sicuramente farina del mio sacco.

Come può il vescovo con il suo presbiterio “sempre favorire la comunione missionaria nella sua Chiesa diocesana”? Come sostenere il presbiterio nel passaggio da una Chiesa “assestata” in una presunta società cristiana a una Chiesa convinta della chiamata ad essere una comunione per la missione? Come valorizzare i diaconi permanenti e gli altri ministeri nella trasformazione missionaria della Chiesa particolare? Lo spirito di fraternità come deve essere vissuto anche con le persone consacrate? Come viene riconosciut a e promossa la responsabilità dei laici nella Chiesa?

  1. Il passaggio da una Chiesa assestata a una Chiesa missionaria si può vivere solamente nel totale affidamento alla provvidenza di Dio, non cercando di pianificare ciò che non è pianificabile, avendo il coraggio di compiere il gesto rivoluzionario e controcorrente  proprio dell’insegnamento di papa Francesco, cioè  riprendere il modello della comunità apostolica, la vita comune, anche propria degli ordini e delle congregazioni, gli stessi presbiteri non hanno mai vissuto una vita solitaria o facevano parte di vicariati o vivevano con i propri famigliari ciò significa che il modello attualmente proposto di parrocchia è superato, si tratta di porre fine all’esperienza parrocchiale come esperienza di vita solitaria del sacerdote. Nel caso  specifico della nostra diocesi si potrebbe utilizzare la struttura del seminario ora chiusa (i chierici frequentano un seminario esterno) per ospitare la comunità presbiterale la quale con a capo il suo vescovo potrebbe riproporre anche per i fedeli la prima comunità apostolica (anche sulla scorta dell’antica esperienza di S.Agostino), questo permetterebbe il continuo movimento del clero verso le zone pastorali in cui è divisa la diocesi; il tutto  nello spirito missionario, di una Chiesa non stabile “in”, ma in movimento “verso”. La stabilitas loci a questo punto non è più del sacerdote ma dei diaconi, dei consacrati e dei laici, che faranno da trait d’union tra il santo popolo di Dio sul territorio e i ministri ordinati in comunione con il loro vescovo, ricalcando il modello del papa con i vescovi.

 

La retta coscienza della natura e della missione del sacerdozio ministeriale è effettivamente presente nel vissuto dei nostri presbiteri? Si riscontrano al riguardo visioni riduttive o distorte? Come custodire e alimentare nei e con i presbiteri una corretta, piena e grata consapevolezza della grazia del ministero?

 

 

  1. In riferimento anche a  quanto è stato scritto nel cappello introduttivo, possiamo aggiungere che il ministero è scaduto a semplice prestazione di un funzionario. Necessita quindi il recupero della preghiera comunitaria e individuale (orazione mentale-meditazione) che solo nell’ambito di una vita comune è garantita, perché solo nella dimensione della preghiera e dei sacramenti ci si può configurare a Cristo capo, pastore, guido e sposo della Chiesa.

E’ possibile verificare, incoraggiare, propiziare questo modo di intendere l’identità di ciascun prete e di quello che ne consegue: nel modo di immaginare il ministero, di definire le destinazioni, di organizzare la propria vita e il proprio futuro, di affrontare le problematiche personali? Nel presbiterio viene coltivata quella spiritualità di comunione che si esprime in atteggiamenti concreti quali: la stima reciproca, il rispetto vicendevole, l’aiuto fraterno, il perdono, la condivisione, l’incontro? Ci si impegna nel respingere le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie? Ogni carisma che entri a far parte di una esistenza sacerdotale o si affianchi ad essa (dalle associazioni di vita apostolica ai movimenti ecclesiali) è considerato e viene vissuto concretamente in modo da rafforzare il senso di appartenenza del sacerdote alla Chiesa particolare?

 

  1. Dobbiamo constatare con rammarico che per quanto sin dai tempi del seminario ci viene propinata una spiritualità diocesana, di questa  è difficile definirne i contenuti, quindi ci pare inesistente, sicuramente ben lontana da quella spiritualità di comunione a cui si riferisce la domanda, anzi l’assenza di una autentica spiritualità porta a generare competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie. Oggi con tristezza la spiritualità di comunione proposta  è incentrata sulla convivialità (viaggi, cene ecc) e non sulla comunione. A questo proposito, la spiritualità del singolo sacerdote va indirizzata verso molteplici e omnicomprensive spiritualità che hanno arricchito la tradizione della storia ecclesiale (domenicana, francescana, carmelitana, benedettina, gesuita ecc..), preti e vescovi devono valorizzare ciò che lo Spirito nel corso dei secoli ha manifestato (le diverse spiritualità di cui sopra), così che la comunione sia frutto della diversità generata in ogni presbitero in base alla mozione dello Spirito, dannoso diversamente sarebbe inventarne una nuova.

E’ vero per noi pastori che l’esercizio del ministero è insieme alimento e frutto della vita spirituale? Cosa implica da parte dei vescovi il fatto che ad essi incombe il grave impegno della santità dei loro sacerdoti? I presbiteri si esercitano nell’obbedienza per fare sempre e solo la volontà del Padre, quale viene significata dal vescovo? Considerano e abbracciano il Cristo vergine e casto, vivendo il celibato come una grazia? Vivono poveri, per i poveri, e danno sempre la preferenza ai poveri?

 

 

  1. Constatando che il  ministero non è alimentato né frutto della vita spirituale, né che il vescovo s’impegni nella cura della santità dei suoi sacerdoti,  con la stessa attenzione di un padre verso i figli ne consegue che parecchi sacerdoti non vivono il celibato come grazia, non vivono come poveri e non privilegiano i poveri.

Forme di esercizio comunitario del ministero presbiterale. Quale tipo di nomina, di attribuzione di compiti e di poteri, di relazioni con altri presbiteri potrebbe contribuire a questa redefinizione?

 

 

  1. Nella visione esposta nella prima domanda, il parroco fortunatamente perderebbe il proprio potere personale a favore di una collaborazione collegiale (ad esempio su una zona pastorale gestita da cinque sacerdoti, saranno loro a rotazione a svolgere il ministero)

E’ avvertita nei nostri presbiteri l’esigenza di una riforma del clero, in modo tale che la vita del prete torni ad essere evangelicamente attraente e provocante? Come viene favorita e sostenuta la vita comune tra i preti? Come il vescovo e i presbiteri possono esprimere vicinanza e aiuto ai confratelli in difficoltà?

 

  1. Non è avvertita l’esigenza di una riforma del clero, si vive una situazione volutamente stagnante dove ognuno trae dalla stessa un beneficio individuale. Come detto sopra la vita comune tra i preti è favorita dal vescovo e dai suoi stretti collaboratori in un’ottica conviviale e non di comunione spirituale. Riscontriamo una totale assenza di vicinanza ai fratelli in difficoltà (ne è prova il suicidio di due confratelli negli ultimi cinque anni).

Quali sono le difficoltà che i presbiteri incontrano nel praticare itinerari organici ed efficaci di formazione permanente? Quali esperienze positive sono presenti nella nostra diocesi e in quelle vicine? Ci sono strutture di sostegno e accompagnamento? Quale sostegno viene offerto nei primi anni di ministero? Quale attenzione viene posta nei confronti dei sacerdoti nei trasferimenti o all’atto di rinuncia per raggiunti limiti di età?

 

  1. I percorsi- Itinerari organici ed efficaci  di formazione permanente dei presbiteri per quanto presenti risultano essere qualitativamente deficitari per tempi e modi, dovuti ad una visione riduttiva del prete per cui si cerca sempre di puntare al minimo invece di stimolare a mete più alte, prendendo a pretesto la scarsa volontà e formazione dei presbiteri, questo a partire fin dai primi anni del ministero dove l’unica forma di accompagnamento è la proposta di un viaggio (esempio: crociera nei mari del nord) tra i novelli sacerdoti. Per quanto riguarda l’attenzione ai sacerdoti giunti alla rinuncia per i raggiunti limiti di età, estesa a oltre gli ottant’anni- novanta, l’unica forma prevista è l’accompagnamento alla casa del clero o la casa di riposo del paese ove questa è presente. I trasferimenti sono vissuti come una forzatura.

Quali aiuti vanno assicurati ai nostri sacerdoti per superare situazioni di crisi per guarire da gravi patologie?

 

Le strutture- Dialogo e maggior vicinanza, preghiera e vita sacramentale che in una vita comune sarebbero garantita.

Quali sono la consapevolezza e l’esperienza al riguardo della correzione fraterna nelle nostre diocesi? Quali osservazioni e suggerimenti si possono fare?

 

Gli strumenti- La correzione fraterna almeno a parole è abusata, per il resto si vive un “vivi e lascia vivere”. Mancando la spiritualità di comunione è impossibile la riforma del clero per cui a nulla servono le indicazioni del diritto canonico circa la disciplina della Chiesa.