DAVVERO….DAVVERO….VERAMENTE L’OBBEDIENZA NON E’ PIU’ UNA VIRTU’

22.11.2014 09:04

“ Quel” giorno, ponendo le tue mani nelle mani del vescovo, hai promesso a lui e ai suoi successori “Filiale rispetto e Obbedienza” Intanto le faccio notare eccellenza reverendissima che ha scritto la parola obbedienza con la O maiuscola come fosse la cosa più importante. Un nome di persona si scrive con la maiuscola, il nome di Dio si scrive con la D maiuscola! L’obbedienza per restare nel filone milaniano, non è più una virtù dunque la parola obbedienza la si scrive con lo o minuscola. Di don Milani padre Reginaldo Santilli revisore ecclesiastico del libro del prete fiorentino “Esperienze pastorali” scrisse che:” era un figlio obbediente della Chiesa e aveva tutte le carte in regola con Dio e con la sua coscienza”, e a sua difesa scrisse ancora:” rifiutato e criticato da altri per i quali rappresentava e rappresenta la presunzione di un uomo, sia pure sacerdote, di voler impartire lezioni alla Chiesa”. Non vorrei che lei confondesse l’obbedienza con la sottomissione. Se in coscienza sento che devo, devo, agisco e senza chiedere consiglio proprio perché viene dalla coscienza, dal Rapporto primo, concedo; con una registrazione raccolta a Barbiana don Milani disse: “non bisogna mai chiedere consiglio prima di prendere una decisione ”E ancora:” per cui, dicevo a dei giovani amici preti che sono capitati qui, che se dov’essere far vescovo me, io direi di no a tutti perché non si deve chiedere il permesso. Chi chiede permessi prima di fare le cose, scarica il barile sui vescovi, di persona non paga nemmeno una lira, non succede nulla. Quindi se io fossi vescovo e mi chiedessero una cosa direi di no… Se fossi vescovo farei capire… Anzi no, senza far capire vorrei che ognuno capisse che io voglio faccia di testa sua. Poi, se proprio vedo che si passano i limiti posso prendere posizione per quanto riguarda gli sgarri eventuali che io vedo alla dottrina e alla disciplina della Chiesa. Comunque con questo sistema di distinguere tra l’obbedienza prima (cioè ruffiana: chiedere consiglio) e l’obbedienza dopo (cioè assoggettarsi con estrema sincerità all’obbedienza dopo) si può dare ai giovani preti una lezione di “ ribellione obbedientissima”. Per colui il quale segue volta a volta soltanto la sua coscienza con la migliore delle intenzioni, avendo già progettato sinceramente e fino in fondo un’assoluta obbedienza in caso di stangata, è perfettamente obbediente, è perfettamente sottoposto ai vescovi. E non blocca il progresso teologico, pastorale, sociale, politico del suo insegnamento”. E se mi accusa di non essere obbediente eccellenza reverendissima le rispondo ancora come don Lorenzo disse in quella sua registrazione:” nessuno riuscirà a farmi disobbedire perché io nella Chiesa ci sto per i sacramenti, non per le mie idee” e aggiungerei per le idee degli altri, includendo negli altri anche lei. Resto obbediente alla Chiesa e sono obbediente alla Chiesa anche in virtù di ciò che Milani scrive con la lucidità del profeta ai giudici romani che lo dovevano giudicare in seguito alla denuncia dei cappellani militari; paragonandoli ai loro predecessori che condannarono Pietro, il prete fiorentino così scrisse:” Ha pagato, (Pietro) con la vita il contrasto tra l’ordinamento vigente e la sua coscienza”. San Pietro era un cattivo maestro: perché? Scrive don Lorenzo:” In una sola religione il loro profondo senso del diritto ravvisò il pericolo mortale per le loro istituzioni. Quello in cui il primo comandamento dice: <<Io sono un Dio geloso non avere altro Dio fuori di me>>. Ecco il soggetto a cui devo obbedienza, ecco l’oggetto della mia obbedienza e nessun altro. Ancora don Lorenzo afferma:” avere il coraggio di dire ai giovani che sono tutti sovrani per cui l’obbedienza non è più una virtù ma la più subdola delle tentazioni, che non credono di potersene fare scudo né davanti agli uomini, né davanti a Dio, che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto. A questo patto l’umanità potrà dire di avere avuto in questo secolo un progresso morale parallelo e proporzionale al suo progresso tecnico”. Ci si può rendere conto ora perché il papa nel suo magistero ha citato don Milano e non ha citato le lettere pastorali del vescovo di Biella. Ignazio Silone scrive in difesa di don Milani durante quel processo, in cui è assodato che l’arcivescovo di Firenze non fece certamente una bella figura: ”Cerchiamo almeno di difenderli i nostri poveri santi, finchè vivono fra noi” e noi sappiamo eccellenza reverendissima che i santi sono secondo il linguaggio paolino il santo popolo di Dio e in quel popolo ci siamo anche noi preti e lei vescovo, prete e vescovo. Circa la sua lettera e le mie molte, possono essere classificate secondo ciò che sempre Silone scrisse in quel lontano 1965:” l’importanza dell’episodio sta precisamente nel contrasto… In cui non è difficile vedere riprodotti in maniera drammatica due modi diversi d’intendere la religione… Un dissenso religioso, morale, civile tra preti”. In buona sostanza il rispetto che le devo è questo ricordare a lei la differenza tra coscienza e obbedienza analizzato e pubblicato ancora da don Milani con queste parole:” se i suoi preti l’avessero educato a guidarsi con la Coscienza (C maiuscola) invece che con l’obbedienza (o minuscola) cieca, pronta, assoluta, quanti e quali mali si sarebbero evitati alla patria e al mondo”…. E si riferiva alla mancata difesa della patria del regio esercito nell’ottobre del 1922. E concludo ancora e solo con ciò che scrive ai giudici in suo difesa il priore di Barbiana:” il Concilio di Trento è esplicito su questo punto: << se le autorità politiche comanderanno qualcosa di iniquo non sono assolutamente da ascoltare. Nello spiegare questa cosa al popolo il parroco faccia notare che premio grande e proporzionato è riservato in cielo a coloro che obbediscono a questo precetto divino>> cioè di disobbedire allo Stato”. Da ciò “deduco”, (le mie solite deduzioni) che se vale per le autorità politiche vale anche per le autorità ecclesiastiche.