"...E' TEMPO DI MIGRARE" DA I PASTORI, DI G D'ANNUNZIO

17.03.2015 08:23

Ci siamo, è tempo di partenze, anzi di ripartenze: il pellegrinaggio in Terra Santa. Ogni anno ormai il vescovo vi partecipa, a parte le storie che si raccontano per invogliarci ad andare, che sono come un corso di esercizi spirituali (?), la vera questione è che è un momento per evadere, staccare, ferie, diciamolo, bisogna avere il coraggio della verità, non essere ipocriti. La vera ipocrisia è il continuo martellare sulla figura di questo papa, ma poi ci si accorge che ogni cosa che dice o che fa, è un pugno alla bocca dello stomaco ad un clero appiattito, appesantito, vecchio. In una recente intervista ad una televisione messicana il santo padre confessa di essere uno stanziale, di non amare i viaggi, di avere sempre preferito il suo lavoro tra la gente a Buenos Aires: ecco la Chiesa in uscita (gesuita attraverso il metodo degli esercizi spirituali di S Ignazio, visita se vuole giornalmente la terra santa); mentre il nostro vescovo appare sul paginone centrale del giornale diocesano, a pubblicizzare con il futuro moralista (chissà tra quanti anni?) viaggi in Terra Santa, a La Salette, passando per i mercati dell’Alto Adige, per arrivare ad assaporare  gusti, odori e colori del capodanno in Marocco. Basta! Sobrietà, vita sobria, tavola sobria, viaggi sobri, basta turismo religioso, è peccato l’uso e l’abuso dei viaggi perché non sono pellegrinaggi; il pellegrinaggio, il pellegrino è ben altra cosa, abbiamo il dovere come preti di educare i fedeli e prepararli a vivere qui nelle nostre Chiese l’incontro con Gesù eucarestia, non certo lungo vie dove forse non vi ha neppure messo piede, a questo proposito sarebbe interessante documentarsi attraverso gli studi di autori quali Ricciotti, Ravasi, Messori. Se non viviamo qui ogni giorno l’incontro, vano ed effimero è il viaggio. Devo dire che siamo stufi di atteggiamenti quali quelli di farsi fotografare con il santo padre e recare in dono nelle visite pastorali quella fotografia, nella quale è evidentissima la soddisfazione di chi si fa ritrarre, di quello che per lui è l’evento, (punta con attenzione e un sorriso 32 denti la fotocamera, piuttosto diverso l’atteggiamento del santo padre). Il Qoeleth recita “vanità, vanità delle vanità”. E’ un atteggiamento borghese piuttosto perbenista, che non ha nulla a che fare con l’atteggiamento che deve tenere un pastore. Malgrado ciò si parte, parte, ogni anno in Terra santa, mentre la diocesi senza pastore è come scriveva Giovanni Pascoli, di quella rondine che non tornava più al nido, ed il poeta immortalava con queste parole quel nido: “… e il suo nido è nell’ombra che pigola, pigola sempre più piano”. Abbiamo bisogno di pastori, non di fotografie da incorniciare. Stia a casa sua, in mezzo alla sua gente.