FINALMENTE LIBERI!
C’è parallelismo tra ciò che afferma Paolo sul Cristo: “pur essendo nella condizione di Dio non ritenne un privilegio l’essere come Dio” e quanto invece si racconta in Matteo:” In quel tempo Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo”. In gioco è l’autorità. Per Paolo la massima autorità, l’autorità delle autorità: Dio. Dio siede al di sopra dell’autorità, di qualsiasi genere di autorità, in quanto creatore dell’uomo, artefice dell’autorità. Dio non sente, non si sente autorità, l’autorità non è farina del suo sacco, è dell’uomo: nel Vangelo vi è un racconto in cui al Cristo è riconosciuto da parte dell’uomo, che parla con autorità. Dio “vive in comunità”, dunque non con autorità, vive nella comunità delle tre Persone , della Trinità, nella pericoresi che altro non è che la danza che unisce, che tiene insieme le tre Persone, e la danza è espressione della gioia, della gioia di stare insieme, di essere comunità, comunione, unità delle tre Persone, un solo Dio. L’autorità, la gerarchia è pensata, voluta dall’uomo, dalle sue categorie. Gesù, il Cristo, il Cristo di Dio, Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, Trinità, si rivolge nel brano di Matteo appena proclamato, all’autorità, a coloro che si sono fatto autorità, che hanno creato le condizioni affinchè un uomo sia riconosciuto superiore all’altro, in una costruzione piramidale con la base larga in cui tutti possano,o meglio debbano, trovare il loro posto, fino allo strettissimo vertice. La base regge tutto ciò che gli sta al di sopra; dunque dalla molteplicità alla base, all’unicità del vertice, per quell’unicità è lotta, anzi guerra, guerra da sempre e per sempre: così è, così ha origine nasce e si sviluppa l’autorità, difficile affermare il contrario. I capi dei sacerdoti, il potere religioso, e gli anziani del popolo, il potere politico. Entrambe le classi, l’autorità, lavorano insieme, non a favore del popolo, ma a suo danno; essi riconoscono la vera autorità: l’autore della vita. Colgono in lui l’autorità, la vera autorità, e tramano perché in gioco è la loro autorità, la loro unicità, il vertice. La lettura che fanno della Parola di Dio è parziale e di parte, è per solo opportunismo, dunque corruttibile, reticente. Non è cambiato nulla, da sempre e per sempre, dai tempi di Gesù ai giorni nostri. Il potere protegge il potere, il potere salva il potere, salva e protegge se stesso, ciò è settarismo, così si comportano le sette non i discepoli di Gesù, i cristiani. Dio per scongiurare ciò, per educarci “rompe” quell’armonia, quella danza, si umilia nel Figlio sino a divenire servo e simile alla nostra umanità: dunque muore. Non rinuncia alla sua regalità, ma la divide con l’umanità ci fa re, facendosi uomo, incarnandosi, prendendo forma.
L’autorità è dunque finita in fondo, scivolata, svilita perché a detta di Gesù, di Dio: “i pubblicani e le prostitute vi passeranno avanti nel Regno di Dio”. Cioè l’autorità è nel tempo e del tempo, di quel tempo e di questo tempo, l’autorità è dunque un limite, il limite, il Regno di Dio è eterno, è per sempre, non ha limite, né tempo, esso è fuori del tempo. L’autorità invecchia, perde le forze, si corrompe, è corruttibile, fallibile dunque non giusta, ingiusta, e non si regge da sola, deve essere mantenuta. Nel Regno non c’è autorità, tanto che Dio stesso non ritiene un privilegio l’essere come Dio, non rinuncia ad essere ciò che è: Dio, ma non ritiene ciò, essere Dio, un privilegio che gli conferisce autorità. Dio non si ritiene autorità, è ritenuto autorità. L’uomo si ritiene autorità senza essere ritenuto. Nell’uomo i privilegi conferiscono autorità. Nel Regno non si esercita, ne è presente nessun genere di autorità, dunque di privilegi, si è ciò che si è e si vive per ciò che si è agli occhi di Dio. Il Regno fratelli cristiani è anche di là, ma inizia di qua, qui, ora, in ogni momento si può entrare nella vigna, insegnava la parabola di domenica scorsa. Il rapporto con Dio è di natura sponsale, cioè si vive nell’intimità che non è controllabile dall’autorità. Il rapporto con Dio è autorevole non autoritario. L’autorità non è parte dell’intimità, né come istituzione vi mette il becco. L’autorità è autoreferenziale, non pecca, non sbaglia, è la perfezione. Questa perfezione agli occhi di Dio, quindi ai nostri occhi fratelli cristiani è tale che l’imperfezione la sovrasta, la supera, l’annienta. L’autorità è dunque il perbenismo che è una maschera, un travestimento, è l’apoteosi dell’effimero. L’autorità è del tempo, dunque legata al tempo, cioè corruttibile, dunque invecchia e passa, dunque non può essere perfezione. La perfezione è da sempre e per sempre, è eterna dunque non di questo tempo, ma dell’eternità e per l’eternità. L’autorità è legata al giudizio umano, e Gesù degli uomini dice: di fare attenzione, di guardarsi bene dagli uomini quando diranno bene di noi, cioè ci sta dicendo di fare attenzione a non divenire autorità, cioè autoritari. Questa dunque non è perfezione. L’autorità è negatività perché non riesce a vivere l’autorità come dovrebbe essere vissuta, scrive Paolo:” Ciascuno non cerchi l’interesse proprio ma quello degli altri”. L’autorità dunque cerca il proprio interesse e questo è lecito, ma non cercare quello degli altri non è lecito, ma l’autorità dunque cerca solo e ripeto solo il proprio interesse. Le prostitute, coloro che hanno tanto amato, (Maddalena) e i pubblicani, coloro che vivevano di usura ( Matteo apostolo, evangelista, santo), perché hanno riflettuto e si sono allontanati, (come afferma Ezechiele nella prima lettura) dall’autorità, sorpassano l’autorità, cioè si pongono davanti ad essa e impongono il loro passo, costringendola ad adeguarsi. Gesù fratelli ci dice che non esiste più l’autorità che non abbiamo più capi( afferma un principio di eguaglianza? No afferma il principio dell’unità con Lui) dell’unicità. L’autorità è dunque salvata perché ognuno di noi sia autorità: imperfetti e peccatori.
Omelia per la XXVI domenica del T.O.