FORMALISMO... UNA MONETA NELLE VISCERE DI UN PESCE

15.02.2015 09:17

Tre sono i pensieri che scaturiscono leggendo, confrontandomi con questa lettura appena proclamata, tratta dal Vangelo di Marco. Il primo: “se vuoi puoi guarirmi” supplica in ginocchio il lebbroso. Ebbene, mi sento di accostare parole e atteggiamenti a ciò che vive intensamente Gesù, il Cristo nell’orto del Getsemani quando, ricorda un altro evangelista, Luca, attento cronista a sua detta: “ cadde in ginocchio e pregava dicendo – Padre se vuoi allontana da me questo calice-“ Dio invocato e Dio che invoca, e ancora a Dio invocato dagli altri la salvezza, infatti risponde acconsentendola; mentre per se stesso rifiutandola. Dio è dunque giusto, il Giusto agisce con giustizia e parla lealmente, recita il salmo, secondo la sua volontà che è il compimento della missione: il lebbroso sanato ha la sua missione da compiere e la compie; Gesù il Figlio ha la sua missione da compiere e la compirà. Non è da parte di Dio un atto di misericordia l’uno, né manifestazione di durezza l’altro, ma un unico atto di giustizia, che mira alla salvezza, che annuncia la salvezza. Il secondo pensiero scaturisce da quel gesto severo di ammonimento e non solo; Gesù scrive Marco:” lo cacciò via”. Quel livore non è indirizzato al lebbroso, ma al formalismo, a quell’atto formale che il lebbroso è tenuto ad adempiere secondo quanto disposto dalla legge di Mosè:” va invece a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto come testimonianza per loro”. Ciò che conta per la classe sacerdotale del tempo, e non solo di quello, è l’atto formale, la forma, che venga assolto e osservato il precetto, l’obbligo, versata l’offerta, che venga osservata in perfetta obbedienza la legge, che ci si sottometta alla legge divenuta dell’uomo, non più di Dio: una legge dunque alla quale non più obbedire, perché svuotata, priva di fondamento e contenuto. L’atteggiamento di Gesù di spingere il lebbroso ad assolvere quel precetto è quello di riformare, di dare compimento alla legge scaduta nel formalismo. Se ricordate un altro episodio narrato nei vangeli in cui Gesù versa l’obolo al tempio per lui e i suoi discepoli, non attingendo al denaro contenuto alla loro cassa comune, (noi sappiamo dell’esistenza della cassa comune tenuta da Giuda, dall’apostolo Giovanni), ebbene per pagare quel tributo Gesù usa una moneta recuperata da un discepolo, su sua indicazione, nelle viscere di un pesce appena pescato. E’ il distacco, segno del distacco dal formalismo, da un mondo formato ma da riformare. E’ di questi tempi l’intenzione del santo padre di riformare la curia romana, segno per una più estesa riforma a tutte le curie nelle quali si muovono laici e chierici. L’uomo non può per il solo sopravvivere, ancorarsi o attingere dal formalismo, ma per sua forma e per vivere deve riformarsi continuamente, giornalmente. La capacità di riformarsi, rinnovarsi, è segno di vivacità intellettuale, d’intelligenza, trasparenza, e, ritrasformare il formato è caratteristico del modo di operare del cristianesimo, innestarsi sul formato per trasformarlo, rigenerarlo, senza stravolgerlo, conservando quindi ciò che merita, e ciò è detto inculturazione, cioè la capacità di innestare la novità nella tradizione. Così si è espanso il cristianesimo, con i tempi di Dio che non seguono la clessidra, ma che valgono l’evoluzione di questo mondo, cioè il non mai finito, il sempre in divenire, che è apertura alla continua novità, che è quell’uscita, la ricerca auspicata da Dio e che il santo padre solamente ci ricorda. La nascita della forma, della regola, della legge è sempre stata salutata favorevolmente e benevolmente dall’uomo, non da Dio, né dall’uomo di Dio. Dio dà all’uomo la coscienza e gli conferisce la vita di grazia, la partecipazione alla vita divina, e a questa che la Parola fa appello, è la coscienza che è toccata dal Verbo, lì avviene l’incontro personale e intimo. Santi quali Francesco o Filippo Neri hanno combattuto contro i loro stessi discepoli per non rendere formale attraverso una regola il loro modo di vivere. D’altra parte una famiglia, la famiglia di ognuno di noi fratelli cristiani non formalizza regole scritte per regolare la convivenza. Gesù è autore di quella spaccatura con il potere politico e religioso perché antepone al formalismo e all’obbedienza la libertà e l’autocoscienza che sono le conseguenze dell’unica regola o legge che Gesù consegna, con  se stesso all’uomo: ama il Signore tuo Dio e il prossimo tuo come te stesso. Preghiera ed azione ! Il terzo pensiero che scaturisce confrontandomi con il brano di Marco è l’atteggiamento tenuto dal lebbroso: non può tacere quell’incontro che per lui è stato la salvezza, la rigenerazione della sua carne (noi sappiamo che la lebbra è la disgregazione della carne), quella disgregazione della carne è disgregazione dell’essere, di una persona, corpo, anima, spirito, dunque il lebbroso sanato vive una seconda rinascita, è nuova persona, è novità vivente. Come può il nuovo, la novità essere nascosta? Come può chi ha ricevuto la vita dalla Vita, tacere la vita? Quell’uomo costretto a vivere ai margini della società, nascosto ad essa, torna ad essere vivente, è riammesso nella società, è accolto, voluto, amato, riacquistando la sua dignità, potendo dimostrare la sua personalità, godendo la sua libertà. Il lebbroso è restituito a se  stesso e  agli altri. Gesù, Dio gli ha restituito tutto ciò, com’è possibile tacerlo? Pensiamo fratelli cristiani a quando ci siamo innamorati, quando il nostro cuore ha individuato la persona per cui abbiamo lasciato le nostre sicurezze, i nostri primi affetti per scegliere chi ci ha scelto; ebbene non lo abbiamo detto, comunicato ad amici e conoscenti? Certo che lo abbiamo fatto, fino a proclamarlo pubblicamente davanti ad un assemblea riunita, davanti a Dio, attraverso il vincolo indissolubile del matrimonio, attraverso un sacramento, ad un segno indelebile. Il lebbroso è stato un araldo e lo è stato veramente un araldo, tanto che Gesù scrive Marco:” non poteva più entrare pubblicamente in città” tanto che “ rimaneva in luoghi deserti” racconta Marco e conclude “ venivano a lui da ogni parte”. Magari, fratelli cristiani, per il solo fatto di avere incontrato Gesù (perché noi ci diciamo cristiani e di seguire, ascoltare, conoscere Gesù), magari sentissimo il desiderio, la necessità di proclamare e divulgare questa nostra fede, solamente con un gesto che ci distinguerebbe agli occhi di chi ci osserva: fare il segno della croce tutte le volte che passiamo di fronte ad una chiesa ed aggiungerei per noi preti vestire l’abito.

OMELIA PER LA VI DOMENICA DEL T. O