FRATELLI CRISTIANI… GIOITE, GAUDETE, GODETE

11.01.2015 10:07

Fratelli, Marco nel brano che abbiamo appena ascoltato riporta ciò che una voce dal cielo pronuncia: “E venne una voce dal cielo” e ancora l’evangelista scrive:” tu sei il figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”. Possono dirmi , dirci ,esegeti, teologi e chi per essi, che ciò che Marco racconta, riporta, che ciò che è risuonato per 2000 anni nella Chiesa è rivolto a Cristo, ma io non ci credo e non è credibile. Se così fosse, se ciò che abbiamo letto, proclamato, riguarda il Cristo e non me, è scritto per lui e non per me, allora vana è l’affermazione di Giovanni, contenuta nel prologo del suo vangelo:” ci ha dato il potere di divenire figli di Dio”. Se siamo figli di Dio, se ci è stato dato il potere di divenire figli con il Figlio, allora quel figlio in cui Dio si è compiaciuto sono io, siete voi, siamo noi, ognuno di noi fratelli cristiani. Per Dio non ci sono mezze misure, se siamo figli, siamo figli, dunque si compiace, si compiace di ognuno di noi, cioè accetta da ognuno di noi ciò che ognuno di noi gli può dare. D’altra parte Dio ci ha pensati, voluti, creati, amati e riscattati. Come ogni padre e madre premurosi, ci ha cresciuti, curati, educati, con noi personalmente si è rapportato e non ci ha mai abbandonati; ci assicura la sua vicinanza: ”chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto”, perché padre, vero padre, che esercita in pieno, pienamente la sua paternità, la paternità. Si compiace di me come ogni padre, gode per ciò che faccio, mi osserva nelle scelte che compio, mi suggerisce e se è il caso mi corregge con discrezione, se sbaglio mi scuote per fare sentire la sua forza, ma anche la sua vicinanza, il suo appoggio, se è il caso mi accarezza per dimostrare la sua dolcezza ed il suo calore. Ha alitato nelle mie narici per farmi sentire il profumo della vita dopo avermi plasmato dal nulla e mi ha osservato compiacente quando ho iniziato a respirare autonomamente cioè a trarre vita da quel suo alito, alito di vita con il quale è entrato in me, è dilagato in me. Ha passeggiato e passeggia con me nel giardino insegnandomi il meglio della vita, educandomi alla vita. Da sé trasferisce in me la curiosità per la conoscenza che è strada alla sapienza, affinchè crescendo in conoscenza possa elevarmi, innalzarmi per potere capire, comprendere che il creatore non è un peso che schiaccia la creatura, che sposta o manipola chi gli è sottoposto, ma un padre che ha come scopo lasciare i suoi beni ai suoi figli, cioè capace di cedere il passo ai suoi figli, mettendosi al momento opportuno da parte, osservando da lontano e assistendo da vicino la maturità dei suoi figli, quando il figlio può prendere le giuste decisioni al posto del padre, perché il padre possa di lui compiacersi e prestando al figlio (se lo richiede), la sua sapienza che è saggezza, come non lo è ancora quella del figlio. Quella compiacenza del padre per il figlio è il completamento di un ciclo di educazione, di un percorso pedagogico, che porta al confronto, al rispetto di due generazioni di due ruoli e alla piena maturità di questi. Il figlio per volere del padre è portato ed invitato a stare eretto di fronte al padre e a guardarlo negli occhi. Se non era possibile con Mosè che al cospetto di Dio doveva coprirsi il volto, velarsi per mitigare lo splendore del volto del padre, ora con l’incarnazione, la rivelazione, per, con e in Cristo, si può guardare il volto del padre e fissarne lo sguardo, lasciarsi penetrare dal suo sguardo. Quel compiacimento che prova il creatore per la sua creatura, che prova il padre per me figlio, se liberamente è da me accettato, desiderato, fa di me un uomo libero, scevro da ogni condizionamento. Il condizionamento spinge all’idolatria, ed è il peggior nemico dell’uomo e di Dio è l’idolo. Per Dio perché viene sostituito, non più riconosciuto e privato del ruolo che gli spetta e dell’uomo perché perde la libertà. L’idolo è muto, Dio è parola e attraverso la parola mi dice:” tu sei il figlio mio l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”, riconosce in me dunque, dignità, (re, profeta e sacerdote), e personalità, sono persona, cioè corpo, anima, spirito. L’idolo fa dire, non dice perché è muto, ma obbliga a dire sottomettendomi, cioè negando la mia libertà, divengo cioè manovrabile, una pedina nelle sue mani, senza più dignità e personalità, cioè con un corpo ma senza un anima e uno spirito, un automa in balia dell’istinto, sopravvivo per volontà di altri ma non vivo. E ciò che spesso ci chiedono in questa società le istituzioni, le autorità civili e anche religiose, il mondo del lavoro: cieca abnegazione. E’ la caduta nell’oblio, nel buio, nella dissoluzione. Il sonno della ragione genera mostri ,scriveva Goia: i fatti di Parigi. Noi fratelli cristiani nel battesimo siamo immersi in quell’oblio, nella caduta, nel buio, nella dissoluzione perché vi apparteniamo ma per essere tratti, estratti alla vita, cioè al compiacimento di Dio, che Dio prova per me nuova creatura, creatura celeste: “ vide squarciarsi i cieli”, investita dallo Spirito:” e lo Spirito discendere”. Fratelli pensate solo a questo e gioite, gaudete e godete perché come figli, come battezzati, come santi a detta di Paolo, di noi Giovanni il battista proclama e non solo dice, e a detta di Marco:”… Giovanni proclamava”, dunque di noi il battista proclama che:” viene dopo di me colui che è più forte di me, io non sono degno di avvicinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali”. Ecco la nostra dignità, cioè che uno come il battista che per bocca di Gesù: “ non vi è nato di donna più grande di Giovanni il battista” eppure  sempre per bocca di Gesù:” ma il più piccolo del Regno dei cieli è più grande di Giovanni il battista”. Lo ripeto fratelli cristiani, gioite, gaudete, godete perché quel figlio di cui Dio si compiace e che è più grande di Giovanni il battista, sono io, siate voi, è ognuno di noi fratelli cristiani.

Omelia per la festa del Battesimo di Gesù