LA DIVERSITA', NON LA LOTTA DI CLASSE
“ Il Signore è giudice e per lui non c’è preferenza di persone … “ così inizia la Liturgia della Parola , in questa XXX domenica del Tempo Ordinario . iI Signore fissa un punto stabile su cui fondare , viene spazzata via l’odiosa distinzione tra chi possiede e chi non possiede beni materiali , che tanto imbarazza e crea divisioni …. i ricchi e i poveri , gli uni il male e gli altri il bene secondo l’immaginario collettivo …. ma questo non è cristianesimo … potrebbe essere lotta di classe una aberrazione che il cristianesimo è venuto ad abolire , proponendo l’unità , tutti figli di Dio pur nella diversità . Ogni uomo è diverso e fratello del suo simile , questo è cristianesimo ; ogni classe è diversa e i membri di una classe sono omologati per combattere gli omologhi dell’altra classe , questo non è cristianesimo , ma è il “ modus vivendi “ di sempre . Abbiamo sentito proclamare nella prima lettura , tratta dal Libro del Siracide che il Signore : “ …… ascolta la preghiera dell’oppresso …. “ non specifica classi o categorie la Parola di Dio , l’oppresso è colui che è costretto a subire …. possieda o non possieda beni ! L’oppresso è fatto oggetto dell’oppressore , è soggetto all’oppressione qualunque sia la sua condizione economica o sociale . La speranza cristiana è quella che l’Altissimo intervenga nel nostro vissuto e renda : “ …. soddisfazione ai giusti e ristabilisca l’equità ….. “ abbiamo ascoltato dal Libro del Siracide . La natura dei giusti , non è dunque “ classata “ , specificata , sono giusti coloro che lo sono , siano questi poveri o ricchi di beni . Nella parabola dei talenti , tre servi ricevono tre quantità diverse di monete che impiegano in tre modi diversi ( Mt. 25,14-30 ) . I servi li ricevono dal loro padrone cioè da colui che ha più beni rispetto a loro , da un ricco per l’immaginario collettivo … e per la legge del contrappasso i tre servi sono i poveri . Ma il Signore Gesù con quella parabola non fissa delle differenze , anzi annulla la diversità tra chi è povero e chi è ricco di beni . Il padrone non è colui che sfrutta ma colui che distribuisce secondo le capacità dei suoi servi , cioè ha una profonda conoscenza di loro e dà secondo giustizia , cioè distribuisce coscienziosamente senza pretendere ciò che i servi non possono dare , ma aspettandosi ciò che possono dare . La parabola poi, evidenzia la fede e la speranza del padrone verso i suoi servi …. dà a loro la possibilità di emergere , di realizzare , creare , di affermarsi …… crede in loro , tutto ciò è al di sopra , fuori , oltre cioè la rigida compartimentazione che caratterizza le classi economiche e sociali . Così il Signore si manifesta …. facendo emergere coloro che sentono dentro di sé il desiderio di manifestarsi ….. se il Signore si manifesta all’uomo è perché desidera che l’uomo si manifesti a lui , si attende dall’uomo , in risposta , un rapporto alla pari , secondo le sue possibilità , dà all’uomo la possibilità di realizzarsi al meglio delle sue possibilità ….. questo è il Signore . L’impossibilità della realizzazione dell’uomo è nelle mani dell’uomo …. chi non permette ai talenti di fruttare è l’uomo stesso , infatti , nella parabola si racconta che uno dei tre servi , non permetterà ai talenti a lui affidati di fruttare preferendo sotterrarli , nasconderli , prigioniero , quindi schiavo della paura ….. dunque schiavo , uomo non libero e per questo motivo non giusto . Impossibilitato alla giustizia verso di sé e verso gli altri ha trattenuto per sé quel tesoro , non ha permesso che quel tesoro fosse messo a profitto per sé , dunque per gli altri , perché la ricchezza deve produrre ricchezza non nella logica egoistica di mercato , ma in una logica distributiva , comunitaria …… questo servo , quello che ha sotterrato la moneta rappresenta l’uomo ricco ( benchè abbia ricevuto meno degli altri , dunque il più povero ) che egoisticamente trattiene per sé il talento , non mettendolo a profitto …. perché il talento è …. sì per sé , a suo vantaggio , ma non solo , quel vantaggio , quel profitto era stato dato per il vantaggio di tutta la comunità , di tutto il genere umano perché il bene genera bene , dunque deve generare bene . Manifestare il Signore dunque è manifestare se stessi , è realizzare se stessi , realizzare quella parte che è in me , nel mio intimo che grida “ Abbà , Padre “ e questo urlo significa riconoscersi figli , sapere occupare il posto che ci compete , che ci spetta , che è voluto per noi , a beneficio nostro e degli altri , figli come noi . Il Signore , come abbiamo sentito proclamare nella seconda lettura , tratta dalla lettera di San Paolo a Timoteo , è giudice giusto che consegna la corona di gloria a chi ha saputo attendere la sua manifestazione e non pone distinzione di categorie o di classi , Paolo scrive : “ … a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione … “ questa è l’unica classe e categoria che il Signore propone , attendere con amore ….. si attende con amore la nascita di un figlio che è frutto di amore , anche questo atteso e consumato … l’amore sponsale , l’amore paterno e materno … l’amore questa è la categoria che il Signore pone e propone , amore , bene , realizzazione , gioia …. l’amore è i talenti che abbiamo da spendere …. che il Signore ci ha “ messo in tasca “ , quello di cui ci ha dotato , la nostra dote per rimanere in un linguaggio sponsale …. questa è la nostra corona , come scrive Paolo a Timoteo …. siamo re ,cioè incoronati , resi regali , la nostra dignità è dunque elevata è il re che la possiede massimamente , e il Signore ci vuole tutti re , ci ha incoronato tutti re attraverso il battesimo , re che governa cioè dispone con giustizia . La giustizia è quella di manifestare e riconoscere ciò che siamo : figli , e se siamo figli riconosciamo il Padre , colui che ci ha generato , al quale guardare con rispetto e dal quale imparare …. nel vangelo di Luca abbiamo sentito proclamare , circa il pubblicano : “ … non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo …. “ non c’è specificazione di categoria o di classe in ciò che Gesù racconta nella sua parabola , ma l’atteggiamento del credente , il credente è colui che tende all’alto , che spinge il suo sguardo verso l’alto , non come a Babele per conquistare il cielo , per raggiungere un traguardo , ma per osservare la Croce , per indirizzare lo sguardo alla Croce , perché in alto c’è la Croce e sulla Croce ….. l’appeso …. è diretto lì il mio sguardo … a lui … all’ appeso …. alla sconfitta , alla debolezza , all’abbandono come scrive Paolo nella seconda lettura : “ ….. tutti mi hanno abbandonato …. “ e questa è l’identificazione del cristiano , colui che si rende conto che sconfitta , debolezza e abbandono sono la nuova vita , perché questi spingono verso l’alto , collocano in alto , leganti per una reale unità secondo la logica cristiana …. ed è su questi termini che si fonda la vita di un uomo che si professa cristiano e che accompagnano l’esistenza di ognuno di noi , sono l’oltre alle classi ed alle categorie proposte da questo modus vivendi imposto , sono questi i nostri talenti che vanno fatti fruttare e che fanno scrivere Paolo a Timoteo : “ ….. Ho combattuto la buona battaglia , ho terminato la corsa , ho conservato la fede …. “ .