L'ESSERE NUDO, CONDIZIONE DEL CRISTIANO

15.03.2015 08:42

E’ piuttosto impegnativo fratelli cristiani, questo brano di vangelo. Il giudizio su questo mondo, su questa società da parte di Dio non è certamente dei migliori. “la luce è venuta nel mondo ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce perché le loro opere erano malvagie”. Un giudizio netto ma capovolgibile. L’uomo tra il bene e il male volendo il primo, sceglie il secondo, il male, e sceglie per opportunismo, questa è l’origine della fame nel mondo, delle guerre, della violenza e non parlo della sola violenza fisica, ma di quella violenza che oggi è la perdita, la volontà di fare perdere la dignità, con il programmato allontanamento dal lavoro o l’abbandono degli anziani; i lavoratori anziani non tutelati sono una piaga e una vergogna quanto non lo sono i taglia gole dell’isis, che i mass media ci propongono ogni giorno, perché riconosciamo in essi la vergogna, il problema e dimentichiamo le nostre vergogne, i nostri problemi, quelli di casa nostra. Ogni giorno, se cristiani, cioè coloro che guardano con gli occhi della fede e non della pancia, cogliamo le opere malvagie, l’amore sviscerato per noi stessi, per l’uomo, per le tenebre. Siamo schiacciati da questo e poco reattivi, ci ritiriamo in noi stessi cercando mille consolazioni. Ma c’è il modo di capovolgere ciò perché noi siamo figli della luce, figli della verità; ma per assumere, prendere posizione, dobbiamo essere innalzati. L’innalzamento è costoso, porta alla ribalta, ad essere visibili, pubblici, nudi, trasparenti. Il Cristo è stato innalzato nudo, perché fosse visibile e dileggiato. Chi si fa innalzare (non chi s’innalza), chi si fa innalzare deve pagare il fio, deve pagare dazio. La vita del cristiano è una vita normale, monotona se si vuole, chiusa, scandita da ciò che si fa, dalle quotidiane occupazioni, ma essa è luce, visibile, al centro dell’attenzione, perché già centro dell’attenzione del Padre essendo noi figli. Non passa inosservato il cristiano, lo racconta bene il libro degli Atti degli apostoli, ad Antiochia per come vivevano, per la loro monotonia, cioè la santità, incuriosivano i cristiani, erano al centro dell’attenzione, erano innalzati, riflettevano luce, attiravano, convertivano, erano detti cristiani, sono stati chiamati cristiani, siamo stati chiamati cristiani. Cosa c’era di eccezionale in loro? Lo si legge chiaramente in Giovanni, dimostravano, mostravano, manifestavano che le loro opere erano fatte in Dio, santificavano le loro opere, loro santi, i santi, e sappiamo che la parola “santo” significa separato (la parola è usata spessissimo da Paolo per indicare i membri della comunità), designava coloro che stavano in disparte, in compagnia del loro Signore, amavano il loro Signore, Dio, cioè condividevano con lui la loro vita, tanto da saper morire per lui, cioè testimoniarlo, i martiri erano appunto chiamati testimoni. Ma perchè l’uomo non sceglie la luce? Perché sceglie le tenebre? Sin dal giardino l’uomo ha scelto di agire nel buio, di glissare la verità, di nascondersi, di coprire la sua nudità; Dio gli deve cucire degli abiti si legge in Genesi nelle primissime pagine della Bibbia. Il Cristo muore appeso nudo, la nudità consente la vita, non si trasmette la vita, se non si accetta, se non si consente la nudità, se non si è disponibili. Le tenebre della nudità, dunque della disponibilità, del trasmettere la vita, della trasparenza, della verità ne hanno fatto motivo di vergogna, di scandalo. Gesù, afferma Paolo, è scandalo per i Giudei, perché nudo, trasparente, vero, giusto, incapace di nascondersi e nascondere, è Gesù stesso a dirci che è venuto a svelare tutto, cioè a svelarsi, e la Parola la Scrittura non hanno segreti, tanto che ognuno in essa trova la sua dimensione le sue risposte. Ora fratelli cristiani, la posizione del Cristo innalzato è la nostra, per essere tali e per esserlo stati dobbiamo salire lì; è costoso, duro, ma quello è il nostro posto definitivo, lì è la vita eterna. E’ il re che sale sul trono, e vi sale perché sia visto, sia acclamato re, e noi la regalità, l’essere re, la riceviamo nel battesimo. La nostra salvezza dipende da quella salita, dall’accettare di essere esposti, dal sapersi spogliare e lasciarsi spogliare da ogni cosa, sino alla totale nudità che è trasparenza, tanto da lasciarsi vedere dentro. Non è violenza quell’innalzamento perché parte della vita, vita eterna, salvezza come Mosè che innalza il serpente di rame al quale il popolo rivolge lo sguardo per essere salvato, sanato. Il credere, che Dio richiede attraverso le parole di Giovanni è lasciare cadere quell’abito che ci ricopre, smettere quell’abito che ci impaccia per esser liberi, liberi di muoversi, essere dinamici, più disponibili, scattanti. Lo avete mai visto un atleta che per gareggiare indossa i vestiti che usa ogni giorno? No cerca un abbigliamento leggero, adatto, che pesi poco, che poco lo ingombri, che gli dia la massima capacità di movimento. Quell’abito che ci ricopre, che ci impaccia, che ci nasconde è tenebra, sono le opere malvagie, l’idolo che assorbe tutta la luce che riflettiamo, per oscurare Dio. Qual è dunque il nostro ruolo? Qual è il ruolo del cristiano? E’ il lasciare fare a Dio, rendendosi disponibile. La nostra disponibilità, cioè il credere, l’avere fede è il segno della nostra volontà, a riflettere la luce, quella luce di cui Giovanni scrive:” la luce è venuta nel mondo”. La nostra disponibilità, il nostro credere, la nostra fede manifesta il Cristo: Dio. La disponibilità, il credere, la fede è risposta ad una chiamata, ad un invito a partecipare ad un incontro intimo, è amore, è amare: “ se possiederete la carità (l’amore appunto), manifesterete il Signore” scriveva non a caso don Ferraris. Ciò che è richiesto ad un cristiano è il credere, ed il credere è contagioso perché è innalzamento, è visibilità, ed essere visibili significa vivere, e la vita è eternità.