NEL CENTRO… DI UN' ESEGESI PARTIGIANA

25.02.2015 09:36

E’ stata ieri sera edificante la lettura della lettera di Giacomo 2,14.17.18  che vi riporto integralmente:” Che giova fratelli miei se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? La fede se non ha le opere è morta in se stessa. Mostrami la tua fede senza opere ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede”. Ricordo da seminarista l’esegesi partigiana in cui si riduceva questo brano ad una direttiva sociale, “vita attiva”, e non veniva menzionata la vita contemplativa, se non veniva menzionata, non era perché data per scontata, non veniva menzionata la vita contemplativa perché non contemplata, volontariamente e partigianamente ignorata. Il prete, (era il messaggio di fondo di quelle esegesi, quindi della nostra formazione) deve essere un buon operatore sociale, deve occuparsi soprattutto dello straniero, che è colui che oggi incarna il povero, ne costituisce e sostituisce la figura. Ricordo benissimo l’ingresso dell’attuale vescovo nel lontano 2001, era di buon auspicio sentirlo con fare deciso e convincente, rivolgersi alle autorità politiche affermando che era stato inviato per portare Cristo e aggiungendo che la Chiesa non avrebbe voltato le spalle ad eventuali responsabilità in campo sociale, ma ribadiva che la sua missione era di portare Cristo… Divenuta poi la costruzione dell’altare del Duomo, la ristrutturazione parziale della cattedrale, la discesa della sacra effige della madonna d’Oropa, oggi la piazza del Duomo, passando dalla chiusura della casa di riposo del piazzo, del seminario diocesano e proteso, proiettato al IV centenario dell’incoronazione della Vergine Bruna, e vorrei aggiungere che per coprire due posti vacanti in diocesi sono stati richiamati due fidei donum (pedine). La nostra è una diocesi che ha scelto una “vita attiva”, quella che ci fanno credere che ha origine dalla lettera di Giacomo. Ma lo dico per quelli di voi cari amici di Chiesa controcorrente che non pregano la liturgia delle ore, infatti nelle pagina di breviario dopo la lettura di Giacomo l’antifona al Magnificat sentenzia così:” Quando vai a pregare chiuditi nella tua stanza e adora il Padre tuo”. Le opere alle quali Giacomo poco sopra si riferisce sono la preghiera, che è l’Opus Dei, affermazione anche questa tratta dalla Scrittura che diverrà il motto della regola di S Benedetto. Dunque, non le opere faraoniche sono gradite a Dio, (di quelle non resterà, per bocca di Gesù, pietra su pietra, come è accaduto al tempio di Gerusalemme) ma la preghiera, il dialogo con lui. Ecco perché piazza del Duomo io l’ho battezzata piazza del Faraone, perché è stata dissociata, ha perso la sua sacralità, da luogo di preghiera, (era ed è ancora un campo santo, perché contiene resti di corpi di santi, a suo tempo benedetto, santificato), è divenuto luogo di mondanità sul suo selciato si sono montati i “baracconi” della fiera, e non è più voluta né rispettata come luogo sacro, nemmeno dai professionisti del sacro, infatti l’hanno svenduta per trenta monete d’argento all’autorità pubblica. “Le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili sono eterne” ammoniva S. Paolo