NELLA MIA SACCENZA ORDINO TASSATIVAMENTE : RIVEDERE, RIPENSARE, RECUPERARE IL SIGNIFICATO DEL TERMINE MISSIONE
Pochi giorni fa ragionavo sul termine “missione” da questo deriva il sostantivo “missionario”. Il dizionario della lingua italiana ci riporta all’atto di mandare o di essere mandato, il dizionario biblico definisce la missione come inviare e indica gl’inviati, gli’inviati da Dio: i profeti, gli apostoli, Gesù stesso, il Figlio e così lo Spirito Santo. Pochi giorni fa riferendomi ad un defunto ricordavo che il significato del termine latino è quello di colui che ha compiuto la missione. Il termine missione è dunque impegnativo soprattutto per noi cristiani che oggi usiamo spesso, come altri termini a vanvera, senza curarsi di ciò che realmente significa, di ciò che realmente la missione, l’azione missionaria implica o impegna la nostra vita. Per quanto riguarda l’applicazione del significato del termine ad un defunto, se cristiano, se cattolico, credente e praticante credo sia, il miglior elogio che gli si possa fare. Affermare che il defunto è colui che ha compiuto la missione, significa affermare che a lui, come d’altra parte ad ogni cristiano è affidato un compito e che questo compito si compie, si realizza nel momento in cui lascia questo mondo. Ciò dà prestigio al defunto, e ne fissa e decreta “l’utilità” nella storia, il suo nome ha fatto la storia. Quale sia la sua missione è compito scoprirlo a chi gli è stato più prossimo. Ognuno di noi perché pensato, voluto, atteso e accolto, porta con sé la missione e il suo compimento e lascia questo mondo per l’altro quando questo si compie, si realizza. Come Mosè che si ferma al monte Nebo, come Cristo che non vive la vecchiaia, come il Santo Spirito che concluderà la sua missione quando la concluderà la Chiesa. Ognuno di noi ha dunque una missione, o meglio ad ognuno di noi è stata affidata “la missione”, e per questa è fissato un tempo, e questo tempo è l’arco della nostra vita. Se penso alla mia nipotina Valeria defunta all’età di tre mesi e se penso che ha portato a termine la sua missione ciò mi dà pace, ha vissuto in pienezza, pienamente la sua vita. Se inviati poi, è perché siamo indispensabili, ogni missione ha un suo specifico esecutore, cioè colui che si dedica con abnegazione alla realizzazione della missione, che è vivere, perché si esiste, e perché l’esistenza non è un caso ma l’affermare la propria identità, la propria personalità. D’altra parte Gesù di ognuno di noi afferma: “i vostri nomi sono scritti nei cieli”. L’uso della parola missione, missionario deve essere attento e rispettoso, per noi si limita il termine alla partenza per un luogo, mentre significa vivere la propria esistenza. Vivere è la missione, e non vivere bene ma vivere, che non significa sopravvivere, ma vivere che implica la conoscenza di se stessi, cioè porsi in ascolto, l’essere attenti, il saper valutare dunque scegliere. Possiamo dire che vivere, cioè dare compimento alla missione a noi affidata, non è legato al tempo ma al compimento, siamo consegnati alla storia nel momento in cui ci realizziamo attraverso il compimento. Rifiutiamo dunque i luoghi comuni, la missione e il missionario che parte per la terra lontana o i giovani che vengono inviati a visitare le terre di missione. Sarà anche quello, l’esotico, ma principalmente la missione sono io, io sono la missione, perché a tutti è conferita e tutti la portano a compimento.