PASTORALE DEL DISSENSO E DEL NON CONSENSO
caro Don Andrea, permettimi di continuare, continuando a leggerti, a
dirti un pensiero. Abbiamo bisogno di preti giovani liberi, della
libertà che viene dalla Parola. Preti capaci di ascoltare e vivere
con-patendo nella loro comunità, dicendo quel che pensano, sempre a nome
di Qualcun Altro, non di se stessi. Non sono certo io che devo o posso
consigliarti, prendi le mie parole come quelle di tanti altri, ma certo
come di una donna libera e spero attenta a ciò che succede nella sua
Chiesa, anche se fuori da appartenenze eclatanti. La nostra è Chiesa che
manca di carità, è evidente, se un prete giovane deve porsi come fai tu
per dire la sua. Il trattamento che ti riservano è indice di qualcosa
che non ha funzionato, perché manca carità e attenzione alla persona.
Scrivi di più sulla parola, sul vangelo, meno su queste beghe, per
starne fuori, per non bruciarti. Non perché non sia giusto che tu
denunci, ma se diventa un martello di rabbia il tuo sacerdozio si stanca
e perde forza , la forza di quell'amore che senti latitante....
Scusami, ma sono pensieri in cui spero si colga l'amicizia per un
ministro di Dio.
Carissima ti rispondo pubblicamente, pubblicando il tuo pensiero, prezioso per chi mi legge. Hai colto nel segno, questa Chiesa biellese vive di beghe, perché borghese, mondana, non Chiesa, assorbita da potere, amicizie che contano, denaro, carriera, ha aperto le porte al principe di questo mondo, che assorbe la carità e la annienta sostituendo ad essa ciò che ho elencato. Questa Chiesa si vanta… E permette di vantarsi nel fare elemosina e sostituisce le preghiere ad atteggiamenti di preghiera, atteggiamenti, cioè accetta che ci si atteggi solamente, addomestica e addormenta la Parola, la vende, quando non la svende, cerca l’approvazione, mentre la parola è un pugno allo stomaco che spesso ferisce, che allontana, perché l’amore allontana in quanto si deve vivere l’intimità. Nessuna rabbia nel mio ministero, perchè il ministero è segnato dalla sconfitta, dalla debolezza,(la croce è segno di sconfitta e solo in seguito segno di vittoria) perché quando si è deboli si è forti, e quando si è sconfitti si vince, si sta vincendo. Non cerco seguito, come fa quella gente, sono come il capro espiatorio liberato nel deserto, qualcuno deve fare ciò, deve sacrificarsi, è fisiologico per la vita stessa della Chiesa. Così ha avuto inizio il mio ministero, con un dialogo franco (solo da parte mia) con il vescovo che preludeva chiarezza e trasparenza, a favore del santo popolo di Dio, perché questo è il suo diritto piaccia o no. Sono bruciato per questa gente perdente, compromessa, divorata e consumata da potere, lussuria e avidità, sono ombre tra le ombre. Quanta gente si è allontanata e quanta non si è mai avvicinata… Non ho la soluzione, ma non devo averla io, sono ministro, strumento nelle mani del Signore che mi chiede questo tipo di pastorale, la pastorale del dissenso, del non consenso: posso io rifiutarlo? Chi sono io per rifiutarla? Non perde forza né si stanca il mio sacerdozio, mi rafforza l’indifferenza e quella cultura dello scarto, (parola del santo padre) e dell’avvicendamento (parole loro) a cui mi hanno condannato. Ringrazio sempre il Signore per la mia condizione, infondo quella gente è sola, ha scelto l’effimero all’eterno.