PATERNITA' EPISCOPALE: PROFUMI E FLABELLI

31.01.2015 10:21

Il santo padre affronta coraggiosamente il tema della paternità. Dovrebbe rivolgersi ai vescovi o almeno al mio che vanta di esercitare e di possedere una “paternità episcopale” e di vivere tra un clero legato, sempre a sua detta da una “fraternità sacerdotale”. E’ noto il mio parere su quest’ultima e, fuori dai denti affermo che il vescovo non può sentire nessun tipo di paternità nei confronti di noi preti, né verso i fedeli perché non è padre, non lo è per natura né per scelta, ha scelto di non diventarlo quindi non può esserlo. E’ anche vero che esiste tra il clero chi ha figli, ma questa è un'altra cosa. Se il mio vescovo è padre, come ama definirsi, ebbene noi preti, come afferma il papa nella sua catechesi di mercoledì 28 gennaio, siamo “ orfani in famiglia, perché i papà sono spesso assenti, anche fisicamente, da casa, ma soprattutto perché quando ci sono non si comportano come padri, non dialogano con i loro figli, non adempiono il loro compito educativo, non danno ai figli, con il loro esempio accompagnato dalle parole, quei principi, quei valori, quelle regole di vita di cui hanno bisogno come il pane”. Il papa provoca l’uditore, insinuando che:” padre è una parola nota a tutti, una parola universale. Essa indica una relazione fondamentale la cui realtà è antica quanto la storia dell’uomo” e ancora “I padri sono talora così concentrati su se stessi e sul proprio lavoro e alle volte sulle proprie realizzazioni individuali, da dimenticare anche la famiglia”. Poi si rivolge a tutta la comunità cristiana, auspicando una maggiore attenzione:” : l’assenza della figura paterna nella vita dei piccoli e dei giovani produce lacune e ferite che possono essere anche molto gravi.” Come padre non posso che  essere in accordo con quanto afferma il sommo pontefice e rivolgendomi al mio vescovo lo ammonisco severamente che se si definisce padre viva questi fallimenti, li viva e la smetta di affermare il contrario, cioè che la sua famiglia, il presbiterio non è colpita da queste problematiche. Altresì se non si definisce padre, dunque non ritiene il presbiterio una famiglia, e i presbiteri tra di loro legati da una sorta di fraternità, (appunto quella sacerdotale), incasella il problema per come la vive la società, la comunità civile: “E questo problema lo vediamo anche nella comunità civile. La comunità civile con le sue istituzioni, ha una certa responsabilità – possiamo dire paterna - verso i giovani, una responsabilità che a volte trascura o esercita male. Anch’essa spesso li lascia orfani e non propone loro una verità di prospettiva. I giovani rimangono, così, orfani di strade sicure da percorrere, orfani di maestri di cui fidarsi, orfani di ideali che riscaldino il cuore, orfani di valori e di speranze che li sostengano quotidianamente. Vengono riempiti magari di idoli ma si ruba loro il cuore; sono spinti a sognare divertimenti e piaceri, ma non si dà loro il lavoro; vengono illusi col dio denaro, e negate loro le vere ricchezze.” Fare delle affermazioni impegnative come il definirsi padre di una famiglia significa esporsi ed esporsi significa  comportarsi  come ci si espone, ma noi per bocca di Gesù siamo coloro che: “… dicono ma non fanno,  legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito” atteggiamento tutt’altro che paterno. Smettiamola di spacciarsi per ciò che non siamo. Il vescovo non è padre, se mai pastore e con ciò ha già la sua responsabilità, i suoi oneri e pochi onori mentre è esattamente il contrario. Il mio vescovo e i suoi collaboratori esercitano così la loro paternità:” tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filatteri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze come anche di essere chiamati rabbì dalla gente”.E ancora , ampliando ribadisco quanto più sopra ho riportato:” sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno, legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito”. Il papa ha imparato a conoscere bene la classe sacerdotale, ma Dio che è padre la conosce da sempre come appunto si legge nel vangelo secondo Matteo. Se non è padre ma pastore mi permetta eccellenza reverendissima di suggerirle di calzare un paio di scarponi e di salire in quota, puzzerà di sudore, lei che ama e vive ritirato tra i flabelli e i profumi di palazzo e osservi anche solo per una giornata i pastori al pascolo, si porti anche i suoi collaboratori, uscite dal palazzo, affrontate le vostre responsabilità per amore del cielo.