PERCHE' VEGETARIANO, ANZI VEGANO

07.08.2014 09:32

Voglio commentare con lei, eccellenza reverendissima, la farse che io ed il mio confratello abbiamo usato per la nostra ordinazione sacerdotale affinchè i lettori di Chiesa Controcorrente siano trasparentemente informati di ogni mio passo. La frase è stata scelta da uno dei diari di don Divo Barsotti, dal titolo “La fuga immobile” che già come titolo dimostra essere intrigante. Così scrive Barsotti sulla vita del prete: "La vita del sacerdote è sacrificio puro. Egli non vive, non può vivere per sè - non ha più una vita. Qualunque cosa faccia per essere amato, stimato, per vivere, il suo sforzo non ha mai il potere di toglierlo alla sua solitudine. Il crisma dell'ordinazione lo separe dagli uomini, egli diviene come il capro espiatorio che si abbandona nel deserto, lontano da tutti".

In uno degli ultimo nostri colloqui prima dell’ordinazione mi comunicò che la frase non era piaciuta al presbiterio cioè non era piaciuta a lei ed al suo seguito o forse non l’avevate nemmeno capita, perché da preti colti e intelligenti fu apprezzata la frase e ancor più la fonte da cui era tratta. L’avevamo riportata su di un volantino che è stato affisso in tutte le parrocchie biellesi. Lei la definì un paradosso. Lo potrebbe essere un paradosso, dipende dalla visione che si ha della vita del prete. Io non partecipo alle riunioni del clero che lei organizza perché le cose che lei propone non m’interessano affatto e come me tanti confratelli non partecipano. Pranzi che sono abbuffate e viaggi di puro piacere “travestiti” da pellegrinaggi, ritiri o incontri di formazione di mezza giornata non m’interessano, persino la veglia di Pentecoste diserto, perché non segue il Messale Romano, ma forse lei usa il messale biellese. Tutte queste manifestazioni servono piuttosto a lei ed la suo staff per controllare le presenze dopo i suoi diktat, una forma di spionaggio degna degli scomparsi paesi d’oltre cortina. La presenza poi di alcuni confratelli è un modo, confidatomi da loro, per non dovere poi giustificare la loro assenza quando vengono in udienza da lei. Le cifre di partecipazione sono eloquenti, tanto che s’invitano i confratelli diaconi, questo è il rispetto verso i ministri ordinati. Io poi non sono un vitello da ingrasso, né posso dopo luculliani pranzi andare a riposare al pomeriggio, devo lavorare per il mantenimento della mia famiglia. Ricordo di lei quell’espressione soddisfatta al giovedì santo, dove da chierico servivo il pranzo nel refettorio del seminario, dopo la messa crismale, ma da prete non vi ho mai partecipato né mai vi parteciperò. La ricordo al tavolo centrale, intento ad osservare compiaciuto i suoi preti e diaconi radunati, non capendo che nel giovedì santo il Cristo raduna i suoi preti non per far festa, ma per istituire l’Eucarestia, il massimo sacrificio, il sacrificio di se stesso. E poi, forse l’ha dimenticato, ma in quel giovedi’, nell’ultima cena non si mangia, ci si comunica per la prima volta, la comunità cristiana per la prima volta si comunica, infatti alla sera la liturgia di inizio triduo offre la messa in cena domini, mentre lei a mezzogiorno offre, si fa per dire, perché si deve pagare, un luculliano pranzo per la sua gioia e di pochi altri, di coloro che cioè compensano con il cibo le loro carenze affettive. Io ho rispetto del giovedì santo, per l’inizio del triduo pasquale, non mi preparo soffocato dal cibo, abbandonandomi stordito dalla digestione su di un divano, lasciando un tavolo con ogni genere di cibo avanzato, in dispregio alla povertà. Ho sempre osservato il suo sguardo compiaciuto, durante gli imposti pranzi, e quel suo scovolare gli interstizi tra i denti con lo stuzzicadenti per poi relegarlo all’angolo della bocca. Credo che  paradossale non sia la frase di Barsotti, quanto la concezione che lei ha del prete. Il prete non si realizza a tavola o portandolo in giro, il prete è contenuto in quella frase, è un essere umano chiamato a vivere controcorrente, una avanguardia che vive sì il paradosso, ma di una vita nel mondo e del mondo, appartenendo per scelta all’altro mondo e riunendo, con il suo sacrificio i due mondi in un unico mondo. La parola sacrificio è oggi una parola controcorrente che lei non ama, infatti lei usa e impone come assoluto la parola gioia, come il Re Sole circondato della sola sua corte nella festa senza fine nella residenza di Versaille, in un mondo virtuale. Lei con il suo comportamento, imponendo le sue scelte sminuisce la vita del prete e la natura della sua missione, lo riduce ad un bieco funzionario, che è chiamato alla mensa e alle riunioni aziendali dove lei è al centro con i suoi dirigenti, in una tragicità di fantozziana memoria. Sono lontano mille miglia da questo genere di proposta di vita, non sono divenuto prete con la mia storia per abbracciare una vita di questo genere, se la viva lei. La proposta di vita che lei fa alle nuove generazioni è questa, e i risultati sono evidenti, il totale disinteresse, anche a quelli che provano il percorso vocazionale da lei proposto. Il seminario ne è la spia, o non entrano o escono. Porto a conoscenza dei lettori di Chiesa Controcorrente ciò che uno psicologo salesiano di Torino espose, qualche anno fa, al seminario di Novara (presenti i seminaristi di BI,NO,VC con i rispettivi rettori ed il suo pro rettore, il rampollo), durante l’obbligatoria informativa sulla pedofilia, in cui fummo obbligati a partecipare a quell’incontro di tre ore, in cui fondamentale era firmare che eravamo stati edotti sul tema, per cui i responsabili in solido degli eventuali danni causati. Lo psicologo e sacerdote con circa quarant’anni di esperienza nel campo vocazionale sostenne che:

-il 30% di individui che si accostavano alla vita sacerdotale o religiosa era per compensare seri problemi in campo affettivo riconducibili alla loro sfera sessuale;

-il 30% di individui che si accostavano alla vita sacerdotale o religiosa era alla ricerca di una sistemazione economico-lavorativa;

-il 30% di individui che si accostavano alla vita sacerdotale o religiosa era per esercitare un potere.

Solamente il 10% era la cifra riconducibile a individui che manifestavano una vocazione sacerdotale o religiosa.

Ricordo lo sbigottimento generale sulle cifre di quella statistica e di quelle affermazioni, ma non ci fu in seguito dibattito che avrebbe dovuto essere sollecitato dai superiori, rettore e pro rettore, suoi collaboratori, membri del suo consiglio episcopale. Quando poi riportai a lei quanto avevo appreso, l’unico suo commento fu per dirmi che conosceva il relatore. Eccellenza deve cambiare sistema, quello che lei propone non porta da nessuna parte, deve rivoluzionare se stesso e meditare profondamente la frase da cui è partita questa riflessione; è su questa frase che si fonda una vita, una vocazione religiosa e sacerdotale altrimenti ci sarà sempre chi, a danno della Chiesa, trasforma i locali di Oropa dimensione giovani in un’alcova, o chi si fa istallare la vasca idro-massaggio nel bagno della casa parrocchiale o chi organizza con i ragazzi un viaggio di pochi giorni a New York, e lei è perfettamente al corrente di queste e altre situazioni. Malgrado ciò lei ha trovato il tempo per redarguirmi sulla scelta della frase, invece di pensare all’abbandono ad una vita mondana dei suoi figli prediletti. Non è un paradosso la frase usata per la mia ordinazione è l’indicazione e la strada da percorrere e da interiorizzare per ottenere il 100%, mentre ricordo a lei ed ai lettori di Chiesa Controcorrente che lei ha di fatto chiuso il seminario diocesano, confermando l’incapacità sua e dei suoi collaboratori a gestire la pastorale vocazionale. Per dirla come il suo vicario generale: l’ennesima amarezza del fallimento.

P.S. ovviamente tutte queste frasi sono scritte con la solita dose d’ironia…a partire dal titolo

donandreagiordano