PORTO L’ABITO: LAONDE PER CUI PAVONE E LEFREVIANO

11.10.2014 10:15

Ho partecipato alla riunione indetta giovedì nove c.m. dal sindaco di Biella avente per oggetto l’illustrazione del progetto di rifacimento della piazza Duomo a cui è seguito sentito dibattito di cui vi riferirò prossimamente. Appena entrato nella sala convegni del Museo del Territorio ove era stata indetta la riunione mi si è parato davanti il consigliere comunale del PD Sergio Leone, (non il regista), che pizzicandomi l’abito da prete che porto (abito talare), mi ha chiesto se lo portavo per “darmi importanza”. Gli ho risposto che lo portavo perché sono prete. Vedete cari amici di Chiesa Controcorrente il portare l’abito talare è una scelta, una scelta libera e guardando i confratelli una scelta controcorrente, ad esempio il figlio del consigliere comunale, prete, solitamente non veste l’abito, ma ripeto è una scelta, una scelta libera. Il CIC (codice di diritto canonico) invita a indossarlo o in alternativa a sostituirlo con il clergiman (articolo). Si porta l’abito per gli altri e per se stessi. Se per gli altri sei visibile, per cui sei riconoscibile, parimenti per te stesso: sai chi sei e chi devi essere e ciò ti spinge a ricordarti che il tuo stile di vita deve essere sobrio, pacato, riflessivo ma soprattutto orante. L’abito ti preserva, ti aiuta, ricorda a te le tue scelte e la fa presenti agli altri; è scelta di povertà, sotto l’abito in estate mutande e maglietta, in inverno camicia e pantaloni che possono essere anche rattoppato e lisi, non così l’abito. L’abito dunque risparmia il rifacimento del guardaroba, fin troppo ricco e curato da qualche mio confratello. Chiaro che c’è chi tra i confratelli c’è chi “veste Prada”, che è un modo ironico per dire che si veste nelle sartorie romane che vestono cardinali e vescovi, ma non è il mio caso, infatti dal vicario generale ( che “veste Prada”) sono stato criticato per la fattura del mio abito. L’abito espone, al dilegio, in primo luogo da alcuni miei confratelli: la battuta? “ è carnevale?”, poi la battuta classica, scontata e direi anche da ignorante:” sei lefreviano?” alla quale di solito rispondo: sì quanto il papa. Poi il dilegio in strada: giovani che più di una volta  bestemmiano ad alta voce al mio passaggio, una donna che mi ha apostrofata con la parola “cupio” e un signore sulla quarantina che mi ha indicato come “ pedofilo”. Si è dunque al centro del mirino, credo sia possibile divenire anche il bersaglio di qualche fondamentalista. L’abito caro Sergio non si veste per darsi importanza, lo si porta con coraggio per dire chi si è.