RENDERE POSSIBILE L'IMPOSSIBILE
“Nulla è impossibile a Dio”, Luca accende un dibattito proprio con questa frase, un dibattito che ha inizio, che ha avuto inizio e non avrà mai fine e oltre ad accendere un dibattito si affaccia e ci affaccia sul Mistero. Quel “nulla”, quel niente, quella assenza diviene “tutto”, ogni cosa, e l’impossibile diviene il possibile, la negatività, il segno meno, diviene la possibilità, il segno più, diviene “Tutto è possibile a Dio”. In quella frase, un mantra, cioè una frase guida che può essere continuamente ripetuta per ottenere, trarre forze, dice, infondo, che la morte non esiste più. Con Dio la morte è vita, perché la morte per la potenza di Dio non è più un limite, non è più nulla, il nulla, ma la vita e lo è perché Dio ha la possibilità di trasformare il nulla, creando proprio come aveva già fatto all’inizio, in Genesi, quando dal nulla, perché non sia più nulla ma qualcuno, crea l’uomo, lo plasma con la terra e gli insufla lo Spirito, il suo Spirito, parte di sé, qualcosa di divino, quella vita (che proprio per il fatto che per lui, per Dio, per il creatore nulla è impossibile cioè tutto è possibile) la mantiene per sempre, la conserva per sempre, la rende eterna. Ciò che Dio afferma, ciò che Dio ispira all’evangelista è che io, sono il suo possibile, a me è riferita quell’affermazione che abbiamo appena ascoltato dal Signore: Dio dice di me che sono il suo possibile, il suo massimo possibile, tanto che il Cristo assume le mie fattezze, o se volete nell’atto ci creare l’uomo dicono i Padri, Dio guarda il suo Figlio e fa l’uomo a sua immagine e somiglianza; Cristo calpesterà la terra che io calpesto, respirerà l’aria che io respiro, dividerà con me il tempo, lo spazio, il limite: la morte e la sofferenza. L’essere da parte dell’uomo, il possibile di Dio, significa essere la sua (di Dio), massima espressione. Dio esprime l’uomo e nell’uomo esprime se stesso, perché nel creare l’uomo guarda suo Figlio, come si è scritto più sopra, e mi fa figlio, mi vuole figlio, suo figlio, per adozione e non per generazione, ma suo figlio, fatto a sua immagine e somiglianza e custode della sua creazione che è fatta per me, uomo, per i miei sensi. L’uomo per definizione è dunque il possibile dell’impossibile. La posizione di Dio è primordiale, teocentrica, la nostra attenzione è rivolta a Lui centro, guardiamo a Lui, ma Lui guarda a noi, dalla sua parte la posizione dell’uomo è primaria, antropocentrica, tutto è fatto in funzione dell’uomo e per l’uomo, per me perché in me vede il Figlio, e mi ama, come ogni padre ama suo figlio. Il possibile poi, l’essere possibile significa tendere a… essere di… potere essere… cioè potere esistere, cioè vita. “Sono” affermare “sono”, dice tutto, apre la sua immaginazione e fantasia, ecco perché sono un essere, perché affermare di essere, significa elevarsi, salire prendere quota, comprendere e conoscere la mia dignità, altro che pedina. La frase di Luca, dice anche, afferma anche, il mio limite per Dio, nulla è impossibile, dunque tutto è possibile, ma per me no, non è così. Questa è sana educazione, l’educazione che veniva un tempo, (oggi non più), impartita. Mia nonna, donna di due secoli fa era nata alla fine dell’800, poi mia mamma, donna dell’altro secolo, oggi ha 90 anni mi hanno sempre ripetuto “l’erba voglio non cresce neanche nel giardino del re”. Anche il re ha dunque i suoi limiti, non così per il divino. (Nulla è impossibile a Dio, Tutto è possibile a Dio). Il divino non ha limiti perché conosce e dunque comprende di non averli; l’uomo non conoscendosi crede e pensa di non avere limiti, dunque non conosce e comprende e questo fatto di pensare di credere, e non di comprendere e conoscere lo pone, lo porta a sottostare ai limiti. Il non comprendere e il non conoscere, la mancanza dell’atto di comprendere e di conoscere è mancanza di fede, è la mancanza dell’atto di fede, non ha fede nella conoscenza , non ha fede dunque in Dio. A dimostrazione di ciò Gesù dice che se avessimo fede, se conoscessimo o meglio se tendessimo alla conoscenza potremmo dire ad un albero di sradicarsi e di piantarsi nel mare, o ad una montagna di spostarsi e questo avverrebbe. E’ una forte affermazione questa fratelli cristiani; ma dobbiamo comprendere e conoscere che siamo divini, divini per grazia di Dio, perché nel battesimo ci è stata conferita da Dio la grazia, cioè la partecipazione alla vita divina in quanto figli, ebbene onde per noi, nella modalità stabilita da Dio nulla sarebbe impossibile se avessimo fede, se volessimo conoscere, tendere alla conoscenza, a Dio. Già nella nostra condizione di uomini di poca fede operiamo e cooperiamo il possibile. Come? Come genitori, trasmettiamo, abbiamo trasmesso la vita, cresciamo i nostri figli dando a loro delle possibilità; come sposi rendiamo possibile l’amore, l’intimità, rendiamo possibile l’unità cioè l’unione dei due corpi in un unico corpo, progettiamo e costruiamo rendendo possibile il futuro, i nostri sogni, la nostra fantasia. L’uomo piccolo borghese non si è ancora reso conto di ciò, che è una potenza, benchè abbia mangiato dell’albero della conoscenza, in fondo lo ha consumato di nascosto e solo parte del frutto dell’albero, è stato solo morsicato e non consumato, né gustato perché non c’è stato tempo di chiedere il permesso di mangiarlo, né ritualmente mangiarlo, assumerlo, cioè portarlo dentro. Il primo uomo come noi non aveva tempo per attuare potenzialità, le sue potenzialità, attuare la sua potenza cioè renderla atto, rendere l’impossibile possibile. Il tempo, per il tempo si giocherà la possibilità di rendere l’impossibile possibile. Quel tempo di cui Dino Buzzati così giudica nel suo libro “Il deserto dei tartari” : il tempo soggiogava, senza curarsi degli uomini, passava su e giù per il mondo mortificando le cose belle, e nessuno riusciva a sfuggirgli, nemmeno i bambini appena nati, ancora sprovvisti di nome.