SCALZI, VOLARE BASSO

17.02.2015 09:32

E’ tempo di Quaresima, domani inizia con la celebrazione del mercoledì delle ceneri l’austero tempo che precede la Pasqua. Digiuno e penitenza per quaranta giorni come sentiremo proclamare nel vangelo di domenica prossima, la prima domenica di Quaresima. Voglio provocatoriamente accostare il periodo di Quaresima, con le sue rinunce, la sua liturgia, la sua tradizione con il Ramadan. Intendo informare che nasce prima il cristianesimo dell’Islam e che Maometto ha “sbirciato” nella Sacra Scrittura; ma non scrivo qui certo per sponsorizzate l’una o l’altra religione, scrivo solo per ricordare che se come accade spesso si elogiano i mussulmani praticanti, tanto si dileggiano i praticanti cristiani. Ve l’ho già scritto cari amici di Chiesa controcorrente che nel mio seminario si è vietata la pratica del digiuno il venerdì quando è consigliata, non vietata dalla Chiesa cattolica attraverso il Codice di Diritto Canonico, dalle disposizioni CEI, e persino è menzionato nel Concilio Vaticano II. Se si elogia la coerenza dei praticanti di altre religioni non riesco a capire il dileggio per i praticanti della nostra religione. Il proverbio è latore di saggezza: “l’erba del vicino è sempre la più verde”. Ho lavorato per circa nove mesi in Arabia Saudita nel lontano 1982, ho vissuto solamente da osservatore,  marginalmente e con attenta discrezione, (perché è così che ci si deve comportare per salvaguardare la propria incolumità personale), il Ramadan e il pellegrinaggio verso la Mecca che era situata a venti Km da dove vivevo e lavoravo. A Mecca e Medina è vietato entrarvi per chi non mussulmano, la pena per chi  trasgredisce è la pena capitale, così com’era ed è vietato ancora oggi in quel paese visitare le mosche, portare al collo le catenine con la croce, leggere libri sacri che non siano il Corano e tante tante altre cose, è di per sé il paese dei divieti, è terra santa, e la sua santità è rispettata perché le pene per chi non si adegua, sono pene corporali. La nostra è la religione dell’amore, un altro tipo di approccio con la persona, perché Dio si è fatto uomo,  dove per essa c’è amore e rispetto, dono di sé, disponibilità, sempre non ci si può amare ci si deve sopportare come c’insegna s Paolo, ed il nostro è il paese della tolleranza che è un concetto più liberale che cristiano, e dovremmo vivere, secondo una cultura illuminista l’uguaglianza e la fraternità, anche se non è proprio così. Ma  tutto ciò è parte della nostra cultura, delle nostre tradizioni che viviamo giornalmente, consuetudinariamente  è divenuto un peso? Non ci attrae più? O ci ricordiamo solo quando qualcuno sul nostro suolo, l’Europa preme un grilletto? O quando un nostro concittadino viene non “giustiziato”, come spesso nei mass media ne è annunciata la morte, ma assassinato, come da noi oggi grazie alle associazioni animaliste, nemmeno più gli animali sono condannati a quel tipo di morte? Se non riscopriamo le nostre tradizioni, le nostre radici, le radici cristiane e giudaiche di questo continente, e non ci stringiamo ad esse tutto è perso, tutto sarà spazzato via, ne sono prova non solo gli attacchi alla persona, non solo gli attacchi alle sovranità nazionali, alla libertà di espressione di critica, (anche se si deve ben distinguere tra la critica e l’offesa), ma anche gli attacchi alla cultura come la cancellazione dei siti archeologici patrimonio dell’umanità in Afganistan e in Iran o Iraq. E’ chiaro che il mondo sta implodendo e non esplodendo, si sta rivolgendo su se stesso, risucchiato dall’egoismo, che è il peggiore dei ripiegamenti su se stesso, produce rancore, invidia, intolleranza, propensione al male. Ma il primo male è stato da parte nostra, non amando le nostre tradizioni cancellandole attraverso l’irrisione e l’indifferenza che è il modo in cui si sono consegnate milioni di persone nei campi di sterminio, irrisi e indifferenti, bollati come diversi, altri, cioè coloro che non sono me, centro, ma l’ altro da me, dunque periferia, ghetto. Abbiamo ghettizzato le nostre tradizioni per far posto al nulla, al tutto tangibile che il nulla trasmettibile: l’apostolo Paolo giudeo di nascita, cristiano di adozione, cofondatore della tradizione europea (appunto giudaica-cristiana) scrive, ed oggi dovrebbe essere letto come ammonimento: “le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili sono eterne”. Oggi dopo secoli di dottrine teologiche e filosofiche, su cui abbiamo fondato la nostra personalità, attraverso il pensiero,  fra i tanti quello di Giovanni della Croce, in cui per Dio un solo pensiero dell’uomo vale più dell’universo intero, ebbene oggi abbiamo dimostrato attaccamento alle sole cose visibili, al vivere il momento consegnandosi schiavi a chi non guardando il presente ma il futuro, e che non tiene conto del nostro futuro, a noi europei il futuro fa paura, preferiamo ubriacarci di presente, attraverso il divertimento, (lo diceva già Pascal), divertimento oggi sfrenato divenuto trasgressione. Un meccanico, uomo pratico, concreto, direbbe siamo fuori giri, fuori limite, abbiamo grippato il motore, è tempo di revisione, di cambiamento, non basta più lubrificare, bisogna sostituire, per far ciò dobbiamo pensare in modo diverso, (che è il motto del produttore della Nutella recentemente scomparso), controcorrente, riappropriandoci delle nostre tradizioni cristiane e giudaiche, perché è quello il nostro ceppo, la nostra origine e provenienza. A chi persegue altre strade, che ha imposto attraverso l’irrisione e il divieto e ha sbagliato, prova ne è il periodo che viviamo, dobbiamo dire praticando e vantandoci di ciò che i nostri padri ci hanno tramandato che: “sbagliare è umano, diabolico è perseverare” . Buon digiuno a tutti, anche a lei eccellenza reverendissima, non di uso della televisione e dei telefonini come ogni anno predica, ma di sogni di gloria e di potere nell’anno in cui si ricordano la nascita di san Filippo Neri che indicava come via alla salvezza non tanto la gioia ma l’umiltà con la frase: volare basso. E nel cinquecentesimo della nascita di santa Teresa d’Avila ricordiamo nella sua riforma l’uso dei sandali piuttosto che delle scarpe.