SEMPRE DI + - MESSE

19.02.2015 10:08

Abbiamo vissuto ieri la giornata del mercoledì delle ceneri nella quale imponendoci le sacre ceneri il sacerdote ci ha ammonito: “Convertitevi e credete al vangelo” e ricordato che siamo polvere e in polvere dobbiamo ritornare, terra, humus, cioè siamo grandi perché è dalla terra che nasce la vita, non certamente dalle cose preziose, che sono belle ma sterili “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori” cantava negli anni della mia adolescenza Fabrizio De Andrè. Un umile frate avanti negli anni, di bassa statura, minuto nel fisico ma sveglio, arzillo, arguto durante l’omelia nella celebrazione della messa, commentando la prima lettura tratta dal libro di Gioele, ha ricordato all’assemblea che“sacerdoti  e ministri del Signore” come scrive il profeta che piangendo implorano al Signore: “ perdona Signore al tuo popolo, e non esporre la tua eredità al ludibrio e alla derisione delle genti”. Quel popolo siamo noi, sacerdoti, ministri, suoi ministri, sacri sacerdoti a cui è affidata l’eredità, la sua eredità perché venga distribuita, assegnata, e noi sappiamo che l’eredità del Signore sono la sua Parola, i suoi gesti. C’ha lasciato in eredità l’Eucarestia, e noi la riduciamo in “più messa e meno messe”. Più messa cioè vivere intensamente l’Eucarestia: non siamo noi a stabilire lo stato d’animo con cui si vive l’Eucarestia, è la libertà che può comprendere, che è misurata dalla salvezza alla dannazione, ma è libertà, ed io respiro quando sono libero di percorrere quella scala dalla libertà alla dannazione, o di non percorrerla affatto. Non è perché c’è una sola messa che la mia disposizione a viverla o al solo percepirla cambia. E come ministro dovrei vivere la santa Messa come se fosse l’unica e l’ultima che celebro, e detto questo accuso la mia indegnità alla celebrazione e quella di tutti i ministri. Di ciò che compiamo in quei momenti non siamo degni né consapevoli, siamo guidati dalla grazia, cioè non c’è più messa, c’è la santa messa. Meno messa significa meno segni, meno segno, meno Signore, più uomo, più umano, meno divino, più divinità che è nell’uomo, più uomo al centro, non come specchio, figura speculare di Dio, ma come affermazione di se stessi. Se il ministro è questo e lo è , e spesso lo è, prova ne sono gli atteggiamenti che questi assumono quando c’è dissenso nei loro confronti, subito parlano di correzione fraterna che può sfociare nell’imporre l’obbedienza, altrimenti sia anatema; sante parole tratte dalla Scrittura, ma usate incautamente da uomini che per la loro fragilità usano il sacro per porsi in cattedra, lontano dalla misericordia che è parte di quell’eredità che Dio gli ha lasciato e che con quegli atteggiamenti segno di ripiegamento su se stessi, di chiusura e non apertura espongono al ludibrio e alla derisione delle genti l’eredità che hanno ricevuto e che non onorano. E’ vero e saggio come conclude il profeta: “ il Signore si mostra geloso per la sua terra e si muove a compassione per il suo popolo”. Come ministri per cosa facciamo, per come siamo, induciamo Dio ad intervenire continuamente nella storia per la salvezza del suo popolo “lo muovono a compassione”, è la nostra indegnità che è nostro peccato verso di lui e verso il suo popolo; abbiamo da piangere non solo tra “il vestibolo e l’altare” ma anche nel nostro privato, nella preghiera personale come c’indica Matteo :” quando tu preghi entra nella tua camera, chiudi la porta…”, la nostra responsabilità è grande, e la fiducia di Dio in noi è ben riposta ma mal recepita.