SENZA LA MANUALITA', L'INTELLIGENZA, LA CAPACITA' DELL'UOMO, DIO NON AVREBBE INVESTITO NELLA VIGNA
Il segreto della pace, fratelli cristiani, non è racchiuso o svelato nelle manifestazioni né nelle bandiere arcobaleno, né tanto meno nelle conferenze: è la presenza di Dio in noi, con noi, ci dice S.Paolo: “E il Dio della pace sarà con voi!” ciò che porta alla pace è ciò che abbiamo imparato, ricevuto, ascoltato e veduto, in chi è cristiano, in chi si professa apertamente cristiano, in chi si è convertito al cristianesimo, come Paolo, come lui, siamo posti sullo stesso piano di Paolo. Se cristiano dobbiamo sentire la responsabilità di esserlo perché:” osservando attentamente il loro tenore di vita, imitatene la fede”, scrive l’apostolo delle genti Paolo. Gli occhi, dunque non sono puntati solo sui preti, ma su chiunque si professa cristiano. Ciò di cui parla Paolo, è Parola di Dio, in quella Parola è la sua Presenza, il suo progetto, che è alla portata di ogni uomo, di ognuno di noi. Da quella Parola sgorga, esce la verità, la nobiltà, la giustizia, la purezza, l’amabilità, l’onorabilità, la virtù o le virtù. Tutto ciò invade i nostri pensieri, dunque il nostro cuore, siamo fratelli cristiani, l’uomo nuovo, la risposta a quel progetto che Dio ha racchiuso, (non nascosto), nella sua Parola: si arrotolano le bandiere arcobaleno, si sciolgono le manifestazioni, non abbiano più seguito le conferenze. Siamo chiamati dunque, invitati al silenzio, alla meditazione, alla preghiera silenziosa, solitaria, al confronto con la Parola, e a mettere in pratica ciò che Dio ci chiede, che altro non è che la nostra valorizzazione, la nostra realizzazione, la nostra gioia. Dobbiamo dunque costruire, siamo chiamati a costruire, perché Dio è un costruttore infaticabile: pianta, coltiva, cura ciò che da frutto; protegge ciò che da frutto perché porti più frutto, affida ciò che da frutto a chi sa fare fruttificare; poi si allontana e attende, pazientemente e sapientemente attende, perché l’attesa e la sapienza anch’esse sono frutti. L’attesa del Signore è un’attesa senza tempo, perché in Dio non c’è tempo, c’è solo attesa, che è la pienezza del tempo, l’attesa dei frutti. “Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti” scrive Matteo. I frutti malgrado ciò che succede ai servi e al figlio, vanno raccolti, vanno raccolti perché sono nella vigna, perché quei frutti sono il raccolto, il risultato sperato, di ciò che il padrone aveva piantato, protetto. Che siano quei contadini o altri, il raccolto va colto, perché deve essere pigiato nel torchio che il padrone ha costruito. E se ci pensiamo bene, il frutto non è il fine, ma è il mezzo, perché il fine è il vino, è questo il prodotto finale. Altresì sappiamo che gli acini non sono omologati, né omologabili, hanno caratteristiche diverse uno dagli altri, ciò che conta è il prodotto, il vino, l’unità, ciò che dagli acini è spremuto, tratto fuori. Dalla molteplicità, l’unicità: l’unità. Nel brano di Isaia letto nella prima lettura, gli acini sono acerbi, la vigna non è produttiva e il padrone trasforma quel terreno coltivato da vigna in pascolo. Nel brano di Matteo la produzione è buona, anche ottima, perché l’intento dei contadini è quello di ottenere in eredità la vigna che si presuma sia produttiva, al punto che per ottenerla si è disposti ad uccidere. Il prodotto è dunque abbondante e di qualità. E’ in discussione anche l’operato dei contadini, i quali vogliono appropriarsi di ciò che non gli appartiene. Il frutto, la Parola, non può essere soggetta ad una personale interpretazione scrive Pietro. La Parola non è solo un frutto da cui si estrae il succo, ma essa è un campo in cui si è seminato e costruito per trasformare, trattare ciò che si è seminato. La Parola non è stata data solo per essere divulgata, ma per essere protetta e per creare le condizioni per poterla proporre ed estrarre ciò che contiene. Tutto ciò si chiama Tradizione, in essa si opera e su di essa si costruisce. Guardiamo a quella torre, che Matteo descrive, come la Tradizione che vigila; è alla vigna come la Tradizione che tramanda che dà continuamente frutti; e a quel tino come la manualità dell’uomo fatta di gusto, intelligenza, capacità di rendere gradevoli e utili quei frutti. Fratelli cristiani abbiamo peso, valiamo perché protagonisti del progetto di Dio, e nel progetto di Dio, non siamo pedine, non siamo muri, ma attori, protagonisti, soggetti, persone. Su di noi Dio investe; senza la manualità, l’intelligenza, la capacità dell’uomo, Dio non avrebbe investito nella vigna. Dio dunque conferisce dignità all’uomo riponendo fiducia, malgrado questo sbagli, malgrado i nostri sbagli; e malgrado gli si abbia ucciso il figlio, il padrone della vigna non applica la vendetta, (che non è giustizia), che il potere politico e religioso :” i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo” scrive Matteo, consigliano e che avrebbero messo in atto; ma si affida a chi produce frutti. Dobbiamo abituarci al confronto, continuo, direi quotidiano con la Parola fratelli cristiani, martedì scorso, il giorno 30 settembre si è fatta memoria di S.Girolamo che afferma che l’ignoranza della Scrittura (la Parola), è l’ignoranza del Cristo, (la Parola).