SERVIRE NON DOMINARE
La riflessione che oggi intraprendo per la sua lunghezza e corposità la ripartisco in tre parti a cui do tre titoli diversi tratti dalla conclusione di un convegno di cui di seguito vi riferisco. Alcuni giorni fa facevo menzione a una lectio divina tenuta da E. Bianchi a Torino per il 23esimo Convegno delle Caritas diocesane. E’ singolare che Bianchi sviluppi, nell’ambito della piccola pubblicazione “ Il non conformismo cristiano” ED QIQAJON euro 3,00, due momenti distinti ma fra di loro complementari commentando la frase di Paolo: “non conformatevi alla mentalità di questo secolo” tratta dalla lettera ai Romani e la frase “non amate il mondo né ciò che è mondano” tratta dalla prima lettera di Giovanni. Dico singolare perché in un raduno delle Caritas diocesane sono presenti, soprattutto nei quadri dirigenziali, preti. E’ vero che ciò che è scritto per i preti è scritto anche per i laici, è scritto cioè per ogni cristiano, ma che Bianchi evidenzi in quel contesto la mondanità, il fenomeno della mondanità è una chiara denuncia dell’esistenza di un problema, di un atteggiamento che emerge in un mondo, quello sacerdotale, in modo esponenziale tanto da essere colto e denunciato, o forse meglio dire: documentato. Bianchi indica tre urgenze fondamentali del non conformismo cristiano, la prima, l’operazione per gli ultimi, le vittime della storia, i sofferenti e nel citare nel vangelo di Giovanni, l’invito di Gesù:” amatevi come io vi ho amati”, Bianchi annota e denuncia che :” se non ci fosse un’epifania anche in politica dell’amore per l’ultimo, dell’attenzione al bisognoso, mancherebbe alla polis qualcosa di decisivo nei rapporti sociali e sarebbe evasa una grave responsabilità cristiana”. E aggiungo io, quando si parla di polis si parla di bene comune, che è responsabilità della comunità, di cui la comunità cristiana con il suo pastore ne è responsabile tanto quanto la società civile con i suoi rappresentanti. Poi Bianchi parla di opzione per l’umanizzazione, come seconda urgenza in cui il priore di Bose annota e ripeto denuncia: “alla missione evangelizzatrice della Chiesa appartiene il compito di indicare l’uomo e la sua dignità come criterio primo ed essenziale all’umanizzazione, a un cammino di autentica pienezza di vita. Questo richiede che noi cristiani sappiamo innanzi tutto dare una testimonianza con la nostra vita…” E qui entrano in gioco le nostre scelte, la dovuta sobrietà perché la sobrietà è rispetto per la povertà e per l’indigenza, e qui come preti dobbiamo interrogarci a fondo… a fondo. Bianchi conclude le tre urgenze commentando lo stile dei cristiani nella compagnia degli uomini giudicato dalla lectio divina determinante. Scrive Bianchi:” da esso (lo stile di vita) dipende la fede stessa perché non si può annunciare Gesù che racconta Dio nella mitezza, nell’umiltà, nella misericordia, e farlo con stile arrogante con toni forti o addirittura con atteggiamenti che appartengono alla militanza mondana! E proprio per salvaguardare lo stile cristiano occorre resistere alla tentazione di contarsi, di farsi contare, di mostrare i muscoli…” In ciò vedo, personalmente e liberamente lo scrivo, l’operazione della traslazione in Duomo della traslazione della sacra effige della madonna di Oropa, che proprio per la mitezza e la sobrietà della Vergine ha mostrato i limiti del Santo Popolo di Dio, del suo pastore e del suo seguito. Conclude Bianchi:” la fede non è questione di numeri ma di convinzione profonda e di grandezza d’animo, di capacità di non avere paura dell’altro, del diverso ma di saperlo ascoltare con dolcezza, discernimento e rispetto. Dallo stile dei cristiani nel mondo dipende l’ascolto del vangelo come buona o cattiva comunicazione, e quindi buona o cattiva notizia”. In quel “l’ altro” , “diverso” che Bianchi indica, oggi più che lo straniero, di cui la Caritas ne fa una bandiera, io vedo l’omosessuale, il separato, il divorziato ben più esclusi dalla comunità cristiana che lo straniero.