SIAMO FIGLI DELLA LUCE, DEL GIORNO... BOANERGHES, FIGLI DEL TUONO

16.11.2014 15:17

Fratelli, dobbiamo porre attenzione e profondamente meditare su quanto Paolo scrive ai Tessalonicesi, perché è scritto ed è quanto Dio attraverso l’Apostolo delle genti, ci fa giungere. Fratelli… sapete che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. C’è, ci sarà e c’è stato il giorno del Signore. Se abbiamo dormito, è passato, se lo vogliamo lo desideriamo arriverà. Quando arriverà? Non certamente quando la gente dirà: “ C’è pace e sicurezza”. Non abbiamo la o le sicurezze terrene, ma siamo forti di una promessa divina. Ciò che conta poi è l’attesa, l’Avvento, che ormai è alle porte. Non nel senso che tra pochi giorni inizierà il periodo liturgico dell’Avvento ma nel senso che è sempre tempo dell’attesa e della venuta del Signore. La prima cosa, ciò che ci rende sicuri che il giorno arriverà, che la promessa divina si realizzerà è per come siamo fatti. Noi sappiamo, o meglio è nostra responsabilità sapere, conoscere, chi siamo, che cosa c’è dentro di noi, quali sono i nostri valori, la nostra identità, la nostra personalità e ciò avviene, da cristiani, dal costante e giornaliero incontro con la Parola, cioè con il Cristo, il Verbo. Conoscendoci, spendendo la nostra vita per e nel conoscerci, possiamo comprendere o essere edotti a conoscere cosa e come Dio ha investito su di noi per usare termini economici o gli esempi della parabola del Vangelo. Conoscendoci, comprendiamo quali sono o possono essere le nostre capacità che non sono poche o molte, ma sono ciò che sono, ciò che devono essere e cioè sempre il nostro massimo, la nostra massima capienza, la nostra massima capacità, sono cioè il bicchiere sempre pieno, che non viene mai dal Padre celeste, confrontato con un altro. Per Dio, io sono io e l’altro o un altro non è migliore o peggiore di me, non compara Dio, ma mi accetta, Dio mi accetta per ciò che sono, o per ciò che devo fare, come annota Luca:” Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. Quel fare scaturisce dalla mia educazione, frutto del mio sentire, del mio vivere, in cui Dio entra se glielo permetto, se voglio farlo entrare, se la mia libertà lo tollera, perché Dio si presenta alla mia porta, bussa, poi attende, sa attendere, non si spazientisce Dio, mai, ma pazientemente attende che ciò che mi ha dato, ciò che ha posto in me, (che è il mio massimo), non gli venga restituito, (perché è ciò che ha già dato e serve a me), ma perché quel massimo, il suo massimo si realizzi in me, mi renda felice, sprigioni in me gioia, gioia di vivere. La gioia di vivere è contagiosa, contagia, infatti gli altri:” osservando attentamente l’esito del loro tenore di vita…” scrive Paolo riferendosi a noi cristiani. La nostra vita, il nostro modo di vivere contagia, siamo stati chiamati cristiani ad Antiochia 2000 anni fa, proprio per questo, per questo modo di vivere si legge negli Atti degli Apostoli. Siamo di esempio è questa la nostra responsabilità, la Chiesa cresce non di numero ma di qualità per il nostro esempio, per la nostra abnegazione, per l’esempio dei discepoli, dei fedeli, dei beati, dei santi, che la compongono e che siamo noi. Il giorno del Signore, l’incontro definitivo, che non è necessariamente la morte, la Pasqua, il passaggio da questa vita all’altra; l’incontro definitivo con il Signore avverrà quando mi renderò conto di ciò che sono e di ciò che posso dare, del mio massimo, dell’apoteosi della conoscenza di me stesso. Conoscendomi, posso conoscere, apro la strada per e della mia conoscenza, e se conosco so, e se so sono sapiente e la Sapienza nella sua più alta forma è Dio e la conoscenza nella sua più alta manifestazione è Dio. Dio viene come un ladro di notte ma non come intende il nostro modo borghese di intendere ciò e cioè nascostamente, di soppiatto, no, Dio viene. Il Cristo, Dio è venuto nella notte si è incarnato, non come un re, come se lo aspettavano le classi sociali elevate, quelle che contavano in quel tempo e per quella società la società ebraica sinonimo di tutta la società; è venuto dal popolo e tra il popolo, il figlio del popolo, figlio di Dio, figlio di un artigiano perché Dio è l’artigiano dalle cui mani, dal cui pensiero ha plasmato l’umanità, gli ha dato una forma, come del resto alla creazione intera. Tutto è uscito dalle sue mani e dal suo pensiero. Non c’è bisogno di cercare il Signore ovunque e dovunque, in giro, perché il Signore viene, combina lui l’incontro, sta a noi se ci conosciamo e se dunque conosciamo sappiamo, riconoscere il momento e vivere l’incontro, e celebrarlo, accogliendo, acconsentendo all’invito. Siamo figli della luce e del giorno, siamo figli di Dio. Pensiamo fratelli cristiani ai nostri incontri in famiglia con il nostro padre, sono, sono stati, alla luce, per vedersi, per parlarsi, per dialogare, per conoscersi e riconoscersi. Non è la gente, non sono gli altri a dire “ c’è pace e sicurezza”. Siamo noi a vivere quella pace e quella sicurezza nell’incontro, nella venuta del Signore e, fratelli cristiani lo sappiamo bene che la venuta del Signore è superiore a qualsiasi valore: come recita il libro dei Proverbi “Ben superiore alle perle è il suo valore”.

Omelia per la XXXIII domenica del TO