TRA LE TELE MUTE DELLA SALA DELLE UDIENZE

01.08.2014 08:29

Sto leggendo in questi giorni il libro “Quando tutto tace” scritto da Silvio Josè Bàez sacerdote carmelitano scalzo licenziato in scienze bibliche presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma, ha poi conseguito il dottorato in teologia biblica dell’Università Gregoriana. Vicepreside e professore alla Pontificia Facoltà Teologica del Teresianum di Roma  è autore di scritti in pubblicazione, per dirla in breve eccellenza, come il suo rampollo e il nuovo uomo di punta della morale, che non hanno ancora concluso il corso di licenza. Dopo questa premessa di presentazione dell’autore la invito caldamente a leggere quanto le trascrivo di seguito, tratto dall’introduzione del capitolo secondo che titola: “Orizzonti negativi del silenzio”. Il suo persistente silenzio è valutato negativamente anche dal cattedratico autore del libro. A lei dedico la prima riga, la interiorizzi, dopo di chè legga e mediti la Parola, ciò che l’autore trascrive del libro della Genesi, trovo che potrebbe specchiarsi, ritrovare in quelle righe il suo ritratto come quello che lei ha commissionato, inquadrato e appeso nell’anticamera della sala delle udienze: lei è solo, circondato da altri ritratti muti, statici, immobili, figure che appartengono al passato, al quale lei chiede continuamente consiglio, (è per questo che ha voluto essere appeso con loro), ma sono tele, sono tele e non possono risponderle, né consigliarla, né confortarla. Quei preti, (che non sono le tele di cui si circonda, ma persone vive, attive, dinamiche), che hanno cercato con lei un serio confronto, disinteressato, un dialogo sincero, vero, trasparente, costruttivo, lei li ha esclusi, li ha chiusi fuori dalla stanza delle udienze preferendo le sue tele spente e inanimate. Interessantissimo, in ciò che scrive Baèz, è l’atteggiamento di chi non parla con l’altro, il suo caso, e sinceramente non vorrei essere nei suoi panni, infatti come può constatare io le scrivo sempre, cioè le parlo, perché lei non mi è indifferente, né provo disprezzo per lei, né mi sento colpevole né la ignoro. Ma ho la sensazione che lei stia aspettando il momento più opportuno per giocarsi l’ultima carta  che ha a disposizione: l’imposizione del silenzio, ma come sostiene l’autore dimostrerebbe, (oltre ciò che ha già dimostrato), aggressività, (che è ciò di cui mi si accusa, dando credito alle voci di “radio serva” la cui sede è a pochi passi dal suo palazzo). Io invece non mi impongo, né le impongo il silenzio, al contrario la invito a parlare, anzi ironicamente la invito a cantare se non vuole parlare. Le auguro una buona lettura di ciò che padre Baèz di seguito scrive.

 

“…Dio ha creato l’essere umano per la comunione. Il giudizio originale del Creatore sulla creatura umana costituisce nel nostro tempo un criterio più che mai attuale: “Non è bene che l’uomo sia solo” (Gen 2, 18). La persona umana, per sua natura, è fatta per l’incontro e per il dialogo. L’uomo è parola, parola interiore, innanzi tutto detta a se stesso, nel silenzio della mente; parola detta agli altri, per chiamarli e partecipare loro qualcosa di sé. E’ infine parola attesa dagli altri, per sentirsi chiamati e vedersi partecipare qualcosa di loro”. Tuttavia, nelle relazioni sociali l’uomo sperimenta frequentemente non solo la difficoltà di comunicare, ma perfino serba in cuor suo atteggiamenti distruttivi che favoriscono la separazione dagli altri, oppure l’esclusione degli altri, e che non poche volte si esprimono con il non parlare. Esistono infatti silenzi che nascono dall’indifferenza, dall’amarezza, dall’odio, dalla paura. Tutti questi atteggiamenti lasciano le persone senza parole, bloccano la comunicazione spontanea con gli altri, creano dei silenzi che avviliscono non solo le relazioni umane, ma lo stesso cuore dell’uomo. Non rivolgere la parola ad un altro è la modalità più evidente della non –comunicazione verbale, che però paradossalmente ha in sé un alto potenziale comunicativo. Una persona che non parla con un’altra, può stare comunicando, ad esempio, disprezzo, indifferenza, ignoranza, colpevolezza. In realtà l’essere umano comunica sempre, sia facendo uso della parola, sia per mezzo del silenzio. Ci sono pure casi in cui si rimane in silenzio perché una determinata situazione esercita un effetto paralizzante, che impedisce di parlare; e, infine, c’è anche il silenzio imposto, l’azione di far tacere l’altro, che spesso ha delle connotazioni di aggressività”.